Evelina Santangelo. “La letteratura è un posto di totale libertà”

Evelina  Santangelo. “La letteratura è un posto di totale libertà”

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Evelina Santangelo è una scrittrice palermitana con un lungo e brillante curriculum sia come autrice, che come editor per la narrativa italiana di Einaudi, casa editrice con la quale ha pubblicato diversi dei suoi romanzi, compreso l’ultimo, Non va sempre così, una storia di intraprendenza e positività di cui si sentiva un gran bisogno visti i tempi.

Sposata e con una figlia, Evelina Santangelo si divide tra Torino, dove la incontro, e la sua Sicilia natale. Dopo oltre un’ora di conversazione mi faccio l’idea di una donna intelligente e di grande cultura, che preferisce esprimere il proprio pensiero attraverso la parola scritta, ma che quando si tratta di parlare non si tira indietro e rivela un’eccellente capacità oratoria. 

Un’intervista che mi ha lasciato la piacevole sensazione di avere conosciuto una scrittrice con la S maiuscola, un’autrice determinata ma discreta che meriterebbe una visibilità più ampia. 

Come è nata l’idea del libro?

Credo che l’idea sia nata dall’esigenza di trovare una via d’uscita dalla “palude” che caratterizza i nostri tempi. Io ho sempre pensato che occorra avere consapevolezza del proprio tempo e delle sue contraddizioni e sono convinta che tutte le volte in cui si è fatto un passo avanti, ci sia stato alla base uno slancio di passione e d’immaginazione. E da qui che sono partita, ma la parte più laboriosa è stato il “come” tradurre questi slanci creativi in un romanzo. La stesura ha richiesto quasi tre anni di ricerche.

Che tipo di ricerche?

Da un lato mi sono documentata sulla storia italiana dagli anni cinquanta a oggi e dall’altra ho svolto una ricerca di possibilità e prospettive per il futuro.

Come sono nati i tuoi personaggi?

I miei personaggi sono sempre il frutto da un lato di elementi di realtà che mi capita di osservare nella vita quotidiana – frammenti di umanità, modi di stare al mondo – e dall’altro di elementi d’immaginazione.

Santangelo 1º pianoC’è qualcosa di te nella protagonista?

Sì, non tanto la biografia del personaggio, quanto nel suo modo di essere insofferente allo stato di cose. Credo che mi appartenga la maniera sommessa, non gridata, di difendere le sue ragioni. Diciamo che ci somigliamo nel modo di stare al mondo.

Una storia come la tua, che lascia una porta aperta alla speranza e al cambiamento, oggi viene spesso derisa e pare che ci voglia coraggio per pubblicarla (merita un applauso Einaudi che l’ha fatto). Perché questo atteggiamento negativo?

Una componente del rifiuto ha a che vedere con i libri che raccontano la contemporaneità. Chi si cimenta con lo stato di cose non rischia nulla, al massimo una superficialità di sguardo, perché tutti possono vedere quello di cui si narra. Nel momento in cui però uno prova a guardare avanti e fa un passo verso una prospettiva culturale diversa, deve riuscire a dare sostanza a questa visione di futuro per non cadere nella retorica e nel facile ottimismo, un rischio reale temuto dagli editori. In altre parole, si ritiene più serio l’intellettuale o lo scrittore che scava nella realtà così com’è, piuttosto che quello che immagina come potrebbe essere.

Il ruolo di uno scrittore nella società non dovrebbe proprio essere quello di vedere la realtà e proporre idee per migliorarla?

Io non me la sento mai di dire cosa dovrebbe fare uno scrittore. Credo che la letteratura sia un posto di totale libertà, dove non ci sono regole e in cui quello che conta è l’acume dello sguardo e la capacità di dare forma alle intuizioni. L’importate è che ci sia quella che Balzac chiamava “la doppia vista”, ovvero la capacità di non fermarsi alla rappresentazione delle cose, ma di andare oltre con l’immaginazione per offrire nuove visioni.

C’è stato un commento su Non va sempre così che ricordi con particolare piacere?

Sì, mi ha fatto molto piacere quando nelle recensioni è stato ha sottolineato che il mio è anche un romanzo politico, perché quando l’ho scritto avevo proprio in mente una visione “politica”, nel senso di un progetto di futuro possibile.

Il tuo romanzo è piuttosto ironico. Quanto è importante per te l’ironia?

Molto, perché è uno strumento che permette di prendere distanza dalle cose che racconti e di andare anche a ribaltarle. In Non va sempre così l’ho usata per “corrodere” alcune visioni che sembrano dettate dalla necessità delle circostanze e vengono considerate inscalfibili. Con l’ironia si toglie la solennità alle idee e se ne rivela la fragilità.

Come nascono i tuoi libri?

Prima di cominciare a scrivere parto da un groviglio di intuizioni, idee e scene che coltivo nella mia dimensione interiore per vedere la tenuta e la forza della storia. Nel frattempo mi documento. Per Non va sempre così ho guardato tantissima Tv degli anni ’50 e ’60 per capire che ruolo attribuire all’interno del romanzo a quell’epoca storica in cui si pensava che l’Italia, ridotta in macerie, materiali ma non spirituali, aveva voglia di futuro. Questo mi ha permesso di capire che l’Italia non è stata sempre un paese senza voglia di futuro e senza slancio. Dopo la ricerca sui brevetti ho cominciato a scrivere.

E per la fase di scrittura come ti organizzi?

Avendo una figlia e una famiglia da gestire scrivo a casa, in orario di lavoro, dalle otto del mattino alle quattro del pomeriggio. Nei momenti più critici mi ritaglio dieci giorni in “ritiro” in una casa al mare che ho in Sicilia e sto senza Internet, senza contatti col mondo. Mi eclisso e lavoro giorno e notte.

Evelina Santangelo e Patrizia La Daga

La classica foto ricordo per la mia “collezione di scrittori“.

Che rapporto hai con le presentazioni dei libri in pubblico?

Ho sempre pensato che fare lo scrittore significasse non affidare all’espressione orale, sempre un po’ approssimativa, i propri pensieri. Per questo per me il passaggio dalla scrittura alla fase di promozione del romanzo è sempre un po’ traumatico, anche se capisco che è necessario.

Quando hai capito che volevi essere una scrittrice?

Io ho sempre avuto una grande passione per la lettura e la letteratura. Una passione che ho coltivato in vari modi e che per caso, molti anni fa, mi ha portato alla scuola Holden dove ho studiato tecniche della narrazione. Qui gli incontri che fatti e gli incoraggiamenti ricevuti mi hanno molto aiutato, perché credo che occorra avere una grandissima opinione di sé per considerarsi uno scrittore prima di averlo dimostrato e io non sono quel tipo di persona.

Un consiglio per chi è in cerca di esordire come autore?

Prima di tutto occorre coltivare il proprio talento e affinare la propria sensibilità attraverso la lettura. E poi, quando si scrive non bisogna pensare al momento in cui il libro potrebbe essere pubblicato. Durante la fase di scrittura bisogna “avere rispetto” per la storia e riuscire a raccontarla fino alla fine, quella è la vera sfida dello scrittore.

A chi fai leggere il romanzo appena terminato?

A nessuno, solo alla mia editor. Sono molto riservata quando scrivo e fino a libro pubblicato nessuno della mia famiglia e dei miei amici ne sa nulla.

Che cosa preferisci leggere?

Di tutto, senza preclusioni, anche se i libri che amo di più, a prescindere dal genere, sono quelli che riescono a generare una sorta di movimento interiore che mi permette di spostare la mia sensibilità, la mia intelligenza, la mia comprensione delle cose più avanti rispetto al punto in cui mi trovo.

Un libro recente che ti ha fatto questo effetto?

Senz’altro La ferocia di Nicola Lagioia (vincitore del premio Strega 2015, ndr). Trovo che sia un romanzo in cui c’è una grande maestria, un grande acume nel modo di rappresentare il mondo. L’ho letto con vera passione.

Un difetto che non tolleri?

Io non sopporto la mistificazione in tutte le sue forme: nelle parole, nel modo di essere, nei rapporti con gli altri, trovo il mascherarsi davvero respingente. E poi non amo le persone giudicanti. Trovo che entrambi siano vizi del nostro tempo.

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