Donato Carrisi: “Autopubblicarsi è una follia”.
I libri non scadono mai, si sa, ma alcuni di loro hanno nel Dna il gene della longevità perché raccontano storie appassionanti che si fanno leggere ovunque e in ogni tempo. È il caso dei thriller di Donato Carrisi, scrittore e sceneggiatore classe 1973 che dopo il successo de Il suggeritore, premio Bancarella 2009 (Longanesi), ha mandato alle stampe, sempre per la stessa casa editrice, altri quattro thriller ad alta tensione, l’ultimo dei quali, Il cacciatore del buio, uscito nel settembre del 2014, lo ha definitivamente consacrato come uno dei maestri del genere in Italia e nel mondo.
Ho incontrato Donato Carrisi, che risiede a Roma e oggi è tra le firme del Corriere della Sera, mossa da una grande curiosità per i suoi libri, così ben costruiti e capaci di generare suspense, e ho scoperto un autore consapevole del proprio talento, ma soprattutto un professionista ben conscio di quanto il successo sia frutto della cura del dettaglio. Così, dopo mezz’ora di conversazione, mi sono fatta l’idea di trovarmi di fronte a una persona dalle idee molto chiare, uno scrittore organizzato, capace di tenere sotto controllo ogni particolare quando scrive come quando conversa, abile nel costruire storie intricatissime e nello sfuggire alle domande più personali grazie a una buona dose di ironia. Ecco che cosa mi ha raccontato
Come nascono i tuoi thriller? Che cosa ti ispira?
Qualsiasi cosa. Io credo che le storie bisogna andarsele a cercare, uscire di casa, “battere il territorio”, comportarsi un po’ da “sbirri”. Io prendo nota, mi riempio di appunti e di articoli di giornale. La mia giornata comincia sempre con almeno due ore di lettura dei quotidiani, dagli italiani agli stranieri. Il New York Times, per esempio, è una fonte straordinaria. Poi occorre andarsi a cercare anche i personaggi. Io non credo molto in Internet perché permette una ricerca troppo superficiale.
Quindi se trovi una notizia che ti interessa parti per andare sul luogo?
Si, certo, è l’unico modo per approfondire. E poi pensa che i miei libri costano tanto, non puoi scrivere un libro destinato al mercato internazionale senza investire nella ricerca, perché il pubblico ti sgama subito. Ecco perché è fondamentale avere un editore. Quelli che si autopubblicano su Internet secondo me sono dei pazzi. Io, prima de Il suggeritore, avevo scritto altri due libri che per fortuna nessuno mi ha mai pubblicato. Se l’avessi fatto mi sarei bruciato. Un editore serve a crescere e a sapere quand’è il momento giusto per pubblicare
Quei due libri sono rimasti nel cassetto?
Sì, e ho anche bruciato la scrivania… Quei romanzi facevano parte dell’esercizio indispensabile di ogni scrittore.
Che cosa consigli a un esordiente?
Prima di tutto di non innamorarsi mai della storia. Se gli editori te la rifiutano vuol dire che non va bene, non funziona, è inutile farla leggere agli amici, alla fidanzata o alla sorella. Gli editori sono professionisti, sanno quello che fanno. E poi è indispensabile leggere tantissimo. Minimo trenta libri all’anno.
Come mai sei diventato uno scrittore di thriller e noir? Che cosa ti affascina tanto di questo genere?
Senza il male non ci sarebbe la storia, né le storie. Io faccio sempre l’esempio delle storie d’amore che per funzionare devono avere una vittima e un carnefice. Perché – diciamocelo – chissenefrega di due che si amano per tutta la vita e muoiono contemporaneamente? Quindi anche in quelle storie c’è il male. Io ho sublimato questo aspetto.
Di tutti i libri che hai scritto ce n’è uno che consideri il tuo preferito?
Il prossimo! Io rispondo sempre così perché questa è la risposta che dà sempre Michael Connelly… (autore statunitense di thriller di grande successo, ndr).
Parlando del tuo ultimo romanzo, Il cacciatore del buio, qual è stato lo spunto che ti ha spinto a scriverlo
Tutto è cominciato anni fa quando ho scritto Il tribunale delle anime. Sentivo che c’era bisogno di un nuovo capitolo. Così sono andato a indagare all’intero del Vaticano e lì ho scoperto che c’è un bosco di tre ettari che mi è parso ideale per ambientare una nuova storia. E poi da un’altra esperienza, che ho romanzato nel libro: ero in visita con degli amici americani ai musei vaticani, che normalmente chiudono alle 18.00, e improvvisamente alle 16.00 ci hanno mandati tutti fuori, impiegati compresi, senza spiegazioni. Non abbiamo mai saputo perché.
Quando scrivi come ti organizzi?
In genere comincio a scrivere nel tardo pomeriggio. Per scrivere uso dei cartelloni su cui attacco dei post-it e poi comincio a mescolarli. Stranamente si crea un’armonia cromatica che compone la storia. È una cosa curiosa perché, pur essendo figlio di un padre che dipinge, io non sono bravo con il disegno, eppure con la scrittura funziona.
Ti capita qualche volta di bloccarti?
Sì, succede, eccome! Io so già qual è il finale, ma il percorso è un’avventura. A volte non trovo una soluzione soddisfacente e mi incazzo per giorni interi, poi all’improvviso la soluzione arriva e in genere è la più semplice, ce l’avevo lì davanti agli occhi ma avevo bisogno di staccarmi un po’ per vederla.
Che cosa leggi in genere?
Di tutto. Se uno vuole scrivere deve leggere. Prima di tutto quello che c’è in classifica per capire cosa piace alla gente. Non sono certo snob, non metto limiti perché non si sa mai dove si può trovare un’ottima storia. Io detesto chi dice “Io non leggo thriller o non leggo fantasy… “. Non ha senso, io mi metto sempre alla prova, perché dovrei privarmi dell’esperienza di leggere cose che possono piacermi? E poi non sopporto chi dice «Questo libro fa schifo». Difficilmente sconsiglio un libro, perché i romanzi preferisco consigliarli e non è detto che qualcosa che a me non piaciuto ad altri non possa piacere.
Se un libro non ti piace arrivi in fondo o lo molli?
Lo mollo e lo butto pure. Perché devo rinunciare al mio tempo per qualcosa che non mi piace?
In giro è pieno di critici che amano fare a pezzi libri e scrittori. Come reagisci in genere alle critiche?
Io non sono particolarmente permaloso, però se c’è qualcosa che mi irrita sono le recensioni di due parole, positive o negative che siano. Io scrivo libri di quattrocento o cinquecento pagine, perciò pretendo che chi li critica spenda del tempo, si applichi e non si limiti a un “bellissimo” o a un “fa schifo”. In ogni caso io credo che il pubblico abbia sempre ragione. Vengo dal teatro, dallo spettacolo e credo in quelli che pagano il biglietto.
C’è un complimento che ti è rimasto particolarmente impresso?
In genere mi dicono che leggere i miei è un po’ come guardare un film, sarà perché sono anche uno sceneggiatore, però un paio di anni fa un ragazzo di sedici anni mi disse “I tuoi romanzi sono in 3D”. L’ho trovato molto bello.
Un pregio che ti riconosci?
La sincerità.
Un difetto?
Che dico un sacco di bugie…
Ok, non parliamo di te. Allora diciamo ai lettori se hai già una nuova storia in mente.
Più di una. Sto scrivendo una sceneggiatura, una nuova serie e sì, poi ci sarà anche un nuovo libro, ma è presto per parlarne.
Dall’intervista di Carrisi, del quale non ho mai letto nulla, desumo di essere sulla buona strada nel mio percorso di aspirante scrittore…