27 settembre, il voto catalano che vuole spaccare la Spagna. Le voci degli anti-indipendentisti.
In Catalogna il 27 settembre si vota.
In Italia lo sanno in pochi e chi lo sa spesso non ha ben chiaro a che cosa serva questo voto. Un piccolo sondaggio personale durante il mio ultimo soggiorno tricolore mi ha permesso di capire che l’informazione più comune che ha oltrepassato i confini spagnoli è quella di un voto che sancirà o meno l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna. “Un referendum come in Scozia, no?” mi ha chiesto qualcuno. No. Nessun referendum, solo normali elezioni (anticipate) per il rinnovo del Parlamento catalano.
Di normale, tuttavia, in questo appuntamento elettorale c’è poco perché Artur Mas, dal 2010 Presidente della Generalitat (l’organo di governo della Catalogna), in questi anni ha promosso una politica nazionalista che ha creato una frattura sociale importante nella società civile. Mas e i partiti alleati (spesso in grade conflitto tra loro su altri temi) hanno creato uno schieramento trasversale battezzato Junts Pel SÌ (insieme per il sì) e hanno dichiarato che in caso di vittoria daranno il via al processo separatista, che dovrebbe sfociare nella creazione di una nazione catalana totalmente indipendente dalla Spagna.
Il governo spagnolo, guidato da Mariano Rajoy, ha ripetutamente avvisato gli esponenti del nazionalismo catalano che non accetterà nessuna dichiarazione unilaterale di indipendenza poiché questa rappresenterebbe una palese violazione della Costituzione.
A fare le spese di questo tiro alla fune, i cui risultati sono molto incerti poiché i sondaggi danno più o meno alla pari entrambi gli schieramenti, è la serenità di molte famiglie che per anni hanno trovato a Barcellona e dintorni un ambiente cosmopolita, accogliente e tollerante.
Oggi quel clima non esiste più. L’intera Catalogna è tappezzata di bandiere catalane a cui si contrappongono quelle spagnole esposte da chi è contrario all’indipendenza, amici e parenti che si frequentavano regolarmente hanno smesso di parlarsi e il livello di tensione è palpabile ovunque. «Sono catalano da generazioni, ma non capisco con che diritto gli indipendentisti vorrebbero negarmi la possibilità di essere anche spagnolo – mi dice Paco, imprenditore nel settore edile – Io mi sono sempre sentito spagnolo e catalano e non vedo incompatibilità tra le due cose. Vada come vada, hanno creato una spaccatura irrimediabile nella nostra società. E sappiamo che queste cose possono finire molto male».
Hector, taxista cubano da vent’anni a Barcellona, mi racconta di sentirsi minacciato dalle politiche populiste che imperano in Catalogna negli ultimi tempi, che gli ricordano il regime da cui è fuggito: «Mi domando come fanno i catalani a non capire che la rivendicazione di indipendenza favorirebbe soltanto i politici. Io di regimi, purtroppo, me ne intendo, e qui tira una brutta aria».
A temere un’eventuale indipendenza catalana è prima di tutto il mondo imprenditoriale e finanziario. Numerose aziende hanno già spostato le proprie sedi fuori dalla Catalogna e molte altre, tra cui nomi noti come Pronovias (abiti da sposa), la casa editrice Planeta, ma anche la Associazione delle banche spagnole (AEB) e la Confederazione delle Casse di Risparmio (CECA) si sono dette pronte a farlo in caso Mas e colleghi continuassero nei loro propositi separatisti.
Secondo le ultime dichiarazioni di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Europea, rendere indipendente la Catalogna significherebbe espellerla automaticamente dall’Unione Europea con la certezza di non potervi entrare a breve, poiché per l’ammissione di uno nuovo stato occorre l’unanimità di tutti i membri del club. È facile intuire che la Spagna non darà mai il proprio consenso.
Un futuro da stato emarginato spaventa moltissimi imprenditori: «Io vendo i miei prodotti in tutta Spagna – mi spiega Oriol – operatore del settore alimentare, ma se la Catalogna si staccasse dallo stato sono certo che la Spagna porrebbe dei dazi e io perderei un mercato enorme, anche perché i miei prodotti verrebbero sicuramente boicottati in quanto catalani». Dello stesso avviso Jaume, titolare di un’agenzia immobiliare che lavora principalmente con gli stranieri che si stabiliscono a Barcellona per motivi di lavoro: «Questa storia dell’indipendenza ha bloccato il mercato. Barcellona è sempre stata una meta ambita da manager e imprenditori, ma ora tutti sono in attesa di capire che cosa accadrà. Nessuno vuole acquistare una casa in un luogo che potrebbe non appartenere più all’Unione Europea. Conosco gente che vive a Barcellona da molti anni che è già pronta a fare le valigie nel caso venisse dichiarata l’indipendenza».
In attesa di sapere se il Barça sarà costretto a giocare nella nuova liga Catalana (con avversari come Lleida, Reus, Vic o Girona), invece che in quella spagnola, e se Pau Gasol, simbolo del basket catalano nel mondo, dovrà lasciare la nazionale spagnola per giocare in quella della sua nuova nazione, resta l’amarezza di vedere un paese splendido completamente lacerato e le cui ferite sanguineranno a lungo. Il tutto per un gioco politico che sembra essere andato troppo oltre.
Fino a oggi i media catalani hanno dato voce quasi esclusivamente alle rivendicazioni indipendentiste, ma chi vive in Catalogna sa bene che sono tante le persone contrarie alla separazione dalla Spagna. Gente che forse ha taciuto troppo a lungo. Si spera sappiano farsi sentire attraverso il voto.
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