Trama contro stile: l’eterno confronto

Trama contro stile: l’eterno confronto

 

In questi giorni mi sono capitate tre cose che hanno ispirato questo post.

La prima: ho letto tutti i commenti che Antonio D’Orrico ha ricevuto su La Lettura del Corriere della Sera dopo aver recensito favorevolmente l’ultimo romanzo di Fabio Volo. I lettori hanno quasi sbranato il critico per avere elogiato il lavoro del Dj, attore, presentatore e scrittore (e non so che altro) a scapito di due famosi e apprezzati autori quali Margaret Mazzantini e Gianrico Carofiglio.

La seconda: ho sostenuto un breve e simpatico botta e risposta via Twitter con lo scrittore Roberto Ferrucci del quale ho appena pubblicato in questo blog la recensione del suo ultimo romanzo “Sentimenti sovversivi“. Ferrucci  dice: “È più importate come si scrive piuttosto di cosa si scrive. A inventare una trama sono capaci tutti”.

È evidente che, indipendentemente dal tema, i 140 caratteri di un messaggio non sono il luogo più adatto per intavolare una discussione e sono certa che se lo scrittore ne avesse l’opportunità argomenterebbe la sua opinione in modo lucido e tagliente com’è nelle sue corde (e se avrà voglia e tempo di farlo su queste pagine sarà sempre il benvenuto). Ciononostante mi permetto di dissentire: una bella trama non è così semplice da trovare visto che ci sono genitori incapaci persino di inventare una favoletta per i propri figli (e ricorrono alle belle storie dei libri per bambini).

La terza: ho letto un tweet di Matteo Righetto che diceva: “Al bello scrivere preferisco il forte narrare”.

Questi tre fatti mi hanno indotto a riflettere su un tema del quale sento parlare da quando ho imparato a leggere (purtroppo non proprio l’altro ieri) e che vede il popolo dei lettori (e degli scrittori) schierato su fronti opposti e apparentemente inconciliabili.

Ci sono i sostenitori dell’impeccabilità dello stile per i quali la storia narrata è secondaria rispetto al linguaggio che deve essere così limpido, raffinato, forbito o poetico da far dimenticare al lettore che pagina dopo pagina non accade praticamente nulla. Spesso chi favorisce questo genere di romanzi legge autori considerati “di nicchia”, poco conosciuti al grande pubblico ma apprezzati da gran parte della critica letteraria. Alcuni di questi libri sono veri e propri gioielli che si leggono per il puro gusto della parola e certo non per le vicende dei loro protagonisti.

La tifoseria contraria è composta dagli amanti dell’azione. Più che al gusto del “bel leggere” si punta all’intrattenimento, al fare della lettura un momento di relax in cui ci si può permettere di evadere e di entrare con la fantasia in avventure che non ci appartengono o che, al contrario, ci sono cosi vicine da permetterci un’immediata identificazione. L’importante è che ci sia un inizio, uno svolgimento e un finale, proprio come ci insegnavano i professori a scuola. Chi scrive per questo genere di lettore sa quanto il ritmo o  il colpo di scena possano essere importanti per mantenere viva l’attenzione e pazienza se ogni tanto ci si abbandona a dialoghi scontati o si utilizza un linguaggio “popolare”.

A me pare che questa battaglia sia ingiustificata. Il romanzo perfetto, quello che lo chiudi e sei dispiaciuto per averlo finito, è quello che non sacrifica una cosa all’altra. Trovo trama e stile indissolubilmente legati nella costruzione di un romanzo con la R maiuscola. A che serve la carrozzeria di una Ferrari con il motore di una Panda? Perché una certa parte del mondo letterario ripudia con orrore libri che hanno saputo vendere milioni di copie se sono scritti con stile accettabile e raccontano una bella storia?

Mi dicono che apprezzare una bella trama è cosa che può fare anche la “sciura Maria” che è arrivata alla licenzia media, mentre per godere dello stile occorre esserne all’altezza, avere una sensibilità linguistica e una cultura superiori, riservate a pochi eletti. Ecco perché la vera letteratura vende poco. Già, ma per gli artisti vendere non sembra mai importante…

La convinzione che mi sono fatta da lettrice (e spero presto anche ufficialmente scrittrice) è che i pregiudizi sono deleteri nel mercato letterario come in qualsiasi altro ambito. La libertà del lettore, già condizionata dalle operazioni di marketing delle case editrici, deve permettergli di spaziare liberamente dal romanzo giallo, d’amore o d’avventura dove la trama fa da padrona, fino ai testi degli autori più sofisticati senza per questo sentirsi incasellato in una categoria o nell’altra.

È deprimente essere giudicati perché si apprezza un best seller ed è altrettanto inopportuno accusare di snobismo chi non apprezza le scelte di moda in quel momento. La perfezione non esiste, si sa, ma chi fonde il “bello scrivere al forte narrare” be’, credo che ci si avvicini molto.

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