La condanna dei bestseller
Leggo questa mattina sulla prima pagina del Corriere della Sera un articolo di Pietro Citati dal titolo: “Meglio non leggere quei bestseller“ e in automatico penso “ecco ci risiamo”.
Prima d’inoltrarmi nel testo, immaginavo già dove il famoso critico letterario sarebbe andato a parare, ovvero l’ignoranza degli italiani di oggi incapaci di apprezzare opere un tempo osannate. E non mi sbagliavo. Citati afferma che:
Oggi la lettura tende a diventare una specie di orgia, dove ciò che conta è la volgarità dell’immaginazione, la banalità della trama e la mediocrità dello stile
e arriva a scrivere senza mezzi termini che:
è molto meglio non leggere affatto piuttosto che leggere Dan Brown, Giorgio Faletti e Paulo Coelho.
Quest’affermazione, che mi piace pensare sia solo una provocazione nel tentativo di spronare i lettori a riprendere in mano i grandi classici, iniziativa che trovo lodevole, mi ha lasciato comunque esterrefatta. Come può un personaggio della fama e dello spessore intellettuale di Citati, sulla prima pagina del più importante quotidiano nazionale, invitare gli italiani a non leggere, piuttosto che affrontare romanzi di un livello che egli ritiene inadeguato per stile e contenuto?
La polemica non è nuova, ne ho parlato indirettamente in un post pochi giorni fa riferendomi alla diatriba tra chi privilegia lo stile dei romanzi alla trama e viceversa (trama contro stile), ma questa volta in gioco non ci sono i criteri di scelta di un romanzo, qui è il concetto più ampio di lettura ad essere messo in discussione.
Proprio ieri abbiamo ricevuto i preoccupanti dati statistici secondo cui in Italia si vendono sempre meno libri e ancora meno se ne leggono; in un contesto così delicato come può Citati invitare a boicottare gli scrittori di bestseller, senza i quali probabilmente molte case editrici oggi faticherebbero a stare in piedi?
Ciò che più m’indigna sono le reazioni degli intellettuali (e non solo) a quest’annosa polemica. In genere, per non fare brutta figura e finire etichettati come lettori di serie B, si dà ragione al critico di turno, ammettendo che gli scrittori di bestseller sono dei saltimbanchi della parola e che le loro opere non valgono nulla. Tutti però dicono di averne letta qualcuna, magari facendo i loro bisogni, ma di averla letta, e questo per lo meno attribuisce loro il diritto di esprimere un parere a posteriori. Ma come faranno i lettori che seguono il consiglio di Citati a farsi un’idea su questi romanzi se il suggerimento è quello di metterli al bando dagli scaffali della loro libreria?
Sarò ottusa, ma fatico a comprendere come in una società in cui abbiamo diplomati e laureati che faticano a scrivere una frase senza errori di grammatica si possa invitare a non leggere un libro, qualsiasi esso sia. E poi, che male c’è nel perdersi nelle avventure dei personaggi di Faletti? Se non leggiamo tutti Joyce ogni giorno siamo una massa di pecoroni ignoranti? Possibile che ciò che piace a milioni di persone debba sempre essere il male assoluto?
È avvilente sapere che per alcune menti superiori ammettere di esserti divertito con “Il codice da Vinci” significa appartenere alla maggioranza illetterata e grossolana che popola la terra e poco importa se tra un bestseller e l’altro ti diletti con Dostoyevsky, Camus o Milan Kundera. Il tuo bollino rosso della vergogna ti resterà appiccicato per tutta la vita.
Trovo che la lettura, qualsiasi tipo di lettura, sia uno strumento di diffusione della cultura e con questo termine, qui mi riferisco a una molteplicità di elementi.
Cultura prima di tutto come semplice alfabetizzazione di persone che altrimenti limiterebbero il loro vocabolario a quello dei reality della Tv.
Cultura come scoperta di realtà diverse dalla propria, di luoghi, opere, vicende storiche che si viene stimolati a conoscere e che altrimenti rimarrebbero patrimonio di pochi (penso a un bestseller come “L’ombra del vento” di Carlos Ruiz Zafón che all’epoca portò migliaia di turisti a Barcellona sulle tracce dei luoghi descritti nel libro tanto che nacquero agenzie di viaggi specializzate).
Cultura come patrimonio per socializzare: se non hai mai letto un libro non ne potrai parlare con nessuno, quindi è meglio scambiarsi opinioni su Paulo Cohelo che litigare per l’arbitraggio dell’ultimo derby.
Cultura come fattore di maturazione, di crescita personale. Qualsiasi libro, anche il meno impegnato, obbliga a uno sforzo della mente, a quello che chiamiamo pensare o almeno immaginare. Cosa che molta gente che non legge non sa nemmeno cosa sia, visto che in giro s’incontrano automi che vivono per inerzia.
Bene, il dado è tratto. Il bollino è già stampato sulla fronte, ma non cambierò idea. Mio figlio, che ha dieci anni, divora Salgari, Verne e Dickens, ma quando ha voglia del “Diario di una schiappa” di Jeff Kinney nessuno glielo proibisce. Ci sono già abbastanza paesi nel mondo in cui qualche fanatico vorrebbe mettere al rogo i libri, solo ci manca che la critica in un paese democratico si atteggi a Santa Inquisizione e ci dica ciò che dobbiamo o non dobbiamo leggere.
E se vogliamo dirla tutta, a me Dan Brown non è piaciuto, ma da oggi di sicuro mi sta un po’ più simpatico.
Onestamente io dei 3 citati non ne ho letto nemmeno uno, non amo i thriller e Paulo Coelho non mi è mai capitato ma che storia è questa?
Io leggo quello che mi pare e chiunque può leggere quello che gli pare. Io per esempio certi autori “intellettuali” non li sopporto, non li seguo e manco mi interessano.
Il 5° comandamento del lettore secondo Pennac era il diritto di leggere qualsiasi cosa.
Il 10° era di tacere.
Ecco.
E’ sacrosanto, un libro ti stimola a pensare e ancor più ad immaginare, a fare la tua rappresentazione mentale della vicenda, a dare un volto ai personaggi. Trovo l’articolo di Citati davvero deludente.
E…a proposito di Giorgio Faletti, secondo me scrive molto bene. Avete letto l’antologia di racconti “Pochi inutili nascondgli”? E in particolare il primo racconto, “Una gomma e una matita”? Ovvero, quando le nostre fantasie più meschine si traducono in realtà…
Ma figuriamoci “piuttosto che…. meglio non leggere” Citati ha proprio “toppato” se proprio voleva criticare poteva prendere dei passaggi e discordare dalla trama dallo stile dalla scrittura ecc ecc…..Ma dire “meglio non leggere” è una sciocchezza che nessu intellettuale deve permettersi di pronunicare neanche per scherzo.
C’è già fin troppa gente che non ha mai preso in mano un libro in vita sua e parla come mangia( purtroppo aggiungo io visto la quantità di cibo spazzatura che viene consumato)
Io dico: MEGLIO LEGGERE SEMPRE E COMUNQUE !
Alla bellezza ci si abitua e cosi anche alla brutezza. Si puo’ leggere il brutto libro cosi che ci si rende conto di quanto sia brutto. La ‘generazione senza grammatica’ lo e’ perche’ non da’ valore alla lingua e all’impegno. Per imparare bisogna fare qualche sforzo. La gratificazione immediata dei bestsellers e’ pari ad un hamburger di McDonald’s che non soddisfa i palati piu’ fini.