Attentati di Parigi. Quando tutti sottovalutavamo il pericolo.
Oggi avrei dovuto mettere online la recensione di un libro. Invece mi trovo a pubblicare queste righe nate dopo i tragici attentati di Parigi, compiuti da terroristi dell’Isis lo scorso venerdì 13 novembre. Una data listata a lutto che si aggiunge alle tante altre, troppe, in cui negli ultimi anni il mondo occidentale è stato messo in ginocchio dal fanatismo religioso.
Nel fine settimana i post e gli articoli sul tema si sono moltiplicati, dalle pagine dei principali quotidiani alle reti sociali tutti hanno avuto qualcosa da dire, a volte anche a sproposito. Come spesso accade in Italia, ogni cosa messa nero su bianco può essere manipolata o diventare oggetto di sciacallaggio politico e i commenti sugli attentati di Parigi non hanno fatto eccezione.
Ho riflettuto a lungo prima di scrivere questo post. Il dolore per l’accaduto per molte ore mi ha obbligato al silenzio, poi ho capito che cos’era questa voce che bussava prepotente dentro di me: la voglia di gridare basta, di farla finita con il timore di essere giudicati perché si manifesta il proprio disprezzo nei confronti di chi usa la religione come scusa per soddisfare le proprie mania di grandezza.
Oggi ho voglia di raccontare una storia che solo pochi amici conoscono.
Molti anni fa, subito dopo l’abbattimento delle torri gemelle, mi misi a scrivere un romanzo. All’epoca ero tra le poche persone che davano peso alle catastrofiche profezie di Oriana Fallaci. La stimavo. Il libro, terminato nel 2003 (e rivisto nel 2008), raccontava una storia che i pochi editor a cui lo consegnai definirono “cupa”, “estrema”e persino “rischiosa” da pubblicare. Qualcuno mi consigliò di lasciare intatta la grande storia d’amore che viene narrata al suo interno eliminando il contesto distopico che avevo immaginato. Raccontavo, infatti, di una società completamente dominata dall’estremismo islamico.
Quando lo scorso gennaio uscì in Francia il romanzo di Michel Houellebecq, Sottomissione (Bompiani) proprio in concomitanza con il sanguinoso attentato a Charlie Hebdo, pensai che lo scrittore francese, sebbene più moderato di me nell’immaginare l’avvento al potere delle frange più fanatiche dell’islamismo, avesse colto nel segno.
Non occorre essere esperti di politica internazionale per comprendere la strategia di queste genti. I loro obiettivi sono sempre stati sotto gli occhi di tutti ma è stato più comodo e semplice fingere di non vederli o non dare loro alcun peso.
Basta l’occhio di una madre preoccupata per il futuro dei suoi figli per rendersi conto di quanto il pericolo sia stato sottovalutato dal mondo occidentale. Per molto tempo i governi hanno giocato a tira e molla, indecisi tra severità e tolleranza.
Così, sono proliferate moschee e scuole coraniche piene di brava gente, certo, ma anche di pazzi fanatici che lavano il cervello ai bambini promettendo loro una vita migliore nell’aldilà, se saranno capaci di farsi saltare per aria eliminando il maggior numero di infedeli, proprio come è accaduto a Parigi.
Nel 2001, quando buttai giù le prime righe del romanzo, immaginai il nostro pianeta nel 2058, devastato da una serie di attentati atomici e regredito a uno stato semi-primitivo in cui un fantomatico Sacro Impero talebano aveva il potere assoluto sulle genti occidentali superstiti. In questo drammatico contesto un’anziana giornalista scriveva di nascosto le sue memorie di gioventù per lasciare ai posteri il ricordo di un mondo ormai scomparso. Le prime righe recitavano così:
Tel Zaytun ex-Moneglia – Liguria (Italia),
9 gennaio 2058
Scrivo nella speranza di non essere scoperta.
A noi donne leggere e scrivere è proibito da molti anni. Le anziane come me sono le più sorvegliate, i guardiani sanno che abbiamo studiato, che ai nostri tempi usavamo il computer, insegnavamo nelle scuole e dirigevamo aziende. Io ero giornalista.
Sanno tutto su quelle come me. Siamo schedate. Hanno bruciato i nostri libri, strappato le nostre agende, distrutto i nostri computer, i telefoni, persino le radio e i televisori. Temono che di nascosto possiamo trasmettere alle nostre figlie e alle nostre nipoti gli strumenti della conoscenza, la memoria del passato, il nostro sapere.
Hanno ragione. Da oltre trent’anni istruisco le piccole schiave che incontro sul mio cammino. Piango per loro, perché so che uscire dall’ignoranza le farà soffrire, le condurrà su una strada di dolore e ribellione dalla quale non c’è ritorno. Mi auguro che il loro martirio un giorno resusciti la civiltà in cui sono nata, o forse, una migliore.
Parlo di questo libro al passato (è intitolato Se tu non ci sei, per la cronaca) perché da un po’ è chiuso in un cassetto e lì, probabilmente, resterà a lungo. Non ha trovato editore in passato e forse è stato meglio così. Tuttavia, dopo il massacro di venerdì, che mi ha fatto temere per la vita di alcuni amici che risiedono a Parigi, ho sentito il bisogno di scriverne per dire a chi governa che è ora di agire, di unire le forze, di smetterla con le politiche nazionaliste, che guardano soltanto all’ombelico di ogni regione, perché esistono problemi ben più urgenti e rilevanti che minacciano la nostra civiltà tutta intera. Il controllo deve essere rigoroso e la repressione spietata perché oggi sbagliare può voler dire morire. E di morti ce ne sono già stati troppi.
La cultura del male si può combattere solo con la cultura del bene. Buoni maestri, buoni libri e una società che consenta l’integrazione e una vita degna costituiscono le basi su cui si deve lavorare per garantire un futuro di pace alle nuove generazioni. Quando i bambini diventano ragazzi è troppo tardi. Le loro menti sono già imbottite di fanatismo e presto le loro cinture lo saranno di esplosivo. Non c’è possibilità di vittoria contro un nemico che non teme la morte perché considera un onore immolarsi per il suo Dio.
Dai massacri di cristiani nei paesi a maggioranza islamica alla costante penetrazione di terroristi nelle nazioni occidentali, quel che prevedevo nel libro, purtroppo, si è già realizzato. Ma il nemico è subdolo e lavora ai fianchi della nostra civiltà. Il peggio potrebbe ancora venire, è inutile fingere di non saperlo. Tutti siamo in pericolo, qualunque sia la nostra bandiera. Hollande dice: “È guerra”. Ha ragione. Ma non è la solo la guerra della Francia, perché in questo Risiko mortale le vittime hanno tanti passaporti. E non solo occidentali. Le oltre quaranta vittime dei kamikaze di Beirut sono lì a ricordarlo.
A suo tempo scrissi:
Eravamo ricchi, presuntuosi e senza dio. Perdemmo.
Erano poveri, devoti e senza nulla da perdere. Vinsero.
Facciamo in modo che almeno queste parole non diventino mai realtà. Siamo ancora in tempo.
Le poche righe del tuo libro mi sono piaciute moltissimo Peccato che nessun editore abbia avuto il coraggio di pubblicarlo. Bravissima Ciao
Grazie mille per le tue belle parole, le ho molto apprezzate.
Come scrivo nel post, forse è meglio che il libro sia rimasto inedito. Chissà, forse un giorno le sue pagine non saranno più un tabù.
Cerca di pubblicarlo. C’è molto bisogno di leggere pagine che siano scritte bene (le tue lo sono) e che facciano riflettere.Questa è una guerra contro un fanatismo che si combatte, non solo ma anche, con la cultura. Perdere significherebbe soprattutto condannare all’ignoranza e al fanatismo figli (i tuoi ) e nipoti (il mio). NON POSSIAMO
Ci penserò. Grazie, Luciano.
Ciao Patrizia,
parole condivisibili con un “ma”…
Non penso infatti che gli Stati nazionali guardino solo il loro ombelico. Le ragioni che hanno portato alla nascita degli estremismi sono molte a partire da alcuni errori madornali in politica estera come l’armamento dei taleban contro la Russia e l’abbattimento del regime di Saddam e Gheddafi. Ma questa è cosa arcinota…
Come poi questi estremismi nascano nelle “pancie” degli stati occidentali (i terroristi di Parigi avevano la cittadinanza francese e belga) è altrettanta materia di riflessione. Un mondo occidentale impazzito troppo devoto al Dio denaro, troppo basato sulla competizione? Una società “liquida”, così liquida che l’amicizia, l’amore e il rispetto scivolano via dalle spalle come un foulard allacciato male? E via di questo passo…
Non parlo di mancata integrazione perchè quella è solo l’ovvia conseguenza dei mali di cui sopra. E non a caso l’estremismo “colpisce” i cuori anche di chi è nato in occidente ed è occidentale dalla settima generazione. Vi racconto un episodio che mi ha fatto riflettere, a dir poco.
L’anno scorso, più o meno in questa stagione, ero andata in città a fare spese. Parcheggio la macchina al solito posto, contenta per la solita fortuna di averlo trovato. Scende, poco lontano da me, dalla sua auto un uomo di 40 anni circa, vestito con una lunga tunica beige, la barba lunghissima, uno strano copricapo e una cintura marron a grani che ricordavano il rosario: di che religione era? Boh…non avrei saputo dirlo, una via di mezzo tra un frate e un islamico. Si rivolgeva alla signora che scendeva dalla propria auto scherzando con grande bonomia per la ristrettezza degli spazi. L’ho seguito un po’ con lo sguardo mentre mi allontanavo (ci allontanavamo) verso il centro. Mai visto uno così! Davvero, di che religione era? Ho pensato ad una setta…Parlava al cell. e sapete la cosa che mi ha sconvolto di più? Non solo era italiano, ma parlava col mio accento! Il mio accento, o al più quello di una provincia vicina!
Dopo un mese circa, sul giornale locale parlano di un tizio della nostra provincia che si era recato in Siria. Un convertito che spesso lo si vedeva passeggiare per…(e il giornalista ha indicato il posto preciso). Dalla descrizione era lui! Era quello che avevo incontrato io nel parcheggio! Era un ex ristoratore di un paese vicino al mio, recentemente convertito.
La notizia in realtà era “fuggita” dalla Dia e la cosa ha fatto arrabbiare per bene le orze dell’ordine.
Non posso mettere la mano sul fuoco che si trattasse lui davvero, ovvio, ma se era lui, non possiamo non riflettere sul perchè di scelte tanto radicali rispetto alla propria vita precedente.
Passo e chiudo
PS: per chi non avesse capito bene….aveva il mio accento!
Cara Elisa, grazie per il tuo commento. Hai perfettamente ragione quando dici che “l’estremismo “colpisce” i cuori anche di chi è nato in occidente ed è occidentale dalla settima generazione”. Ma ritengo (e mi auguro) che siano una minoranza, rischiosa e problematica, certo, come lo sono tutte le devianze. La mente umana è un contenitore fragile e spesso manipolabile, se no non si capisce come dei figli possano uccidere dei genitori per denaro o per avere la libertà di uscire la sera (caso recente), oppure come gli uomini possano usare violenza alle proprie compagne fino ad ammazzarle o, ancora, come il colore della pelle possa essere fonte di discriminazione. Insomma, è scontato che la nostra società abbia grandi responsabilità in quello che accade sotto i nostri occhi ogni giorno, gli interessi privati spesso motivano i politici più di qualsiasi ideale e questo può generare repulsione e voglia di rivalsa, ma se una persona con il nostro stesso accento (e passaporto) accetta di addestrarsi per eliminare i suoi concittadini be’, credo che abbia semplicemente un cervello più debole e malato in cui non trovano spazio i concetti di solidarietà, pace e tolleranza. Di paladini del male è piena la storia e non erano certo tutti estremisti islamici.
Ciao Patrizia, concordo perfettamente.
Non ho voluto avanzare l’ipotesi della fragilità psicologica sia per non appesantire un intervento già lungo sia per non essere tacciata di giustificazionismo.
Mi fa piacere che tu la pensi come me. Penso che in fondo in fondo i foreign fighters abbiano più ragione psicologiche che ideologiche nel fare quello che fanno. Non si tratta tuttavia di giustificarli: non sono psicotici, ma persone disturbate o fragili perfettamente in grado di scegliere.
Un in bocca in lupo per il libro che hai nel cassetto: tentar non nuoce…mai.
ciao
Grazie, Elisa. Felice di trovarti d’accordo. Per il libro vedremo, nella vita mai dire mai… 🙂
Ti auguro una buona giornata!
Cara Patrizia,
Grazie di avere pensato a noi. Questi ultimi avvenimenti più che impauriti ci ha lasciati tristi. Parigi é evidente, raccoglie monumenti meraviglosi ed una architettura indiscutibilmente bella ed elegante. Ma quello che fa di Parigi veramente unica, é il suo modo di vivere, la sua gente che fa che tutti quelli che stano a Parigi, trovino il suo spazio, la SUA Parigi. Ed é stato questo che é stato colpito, ed é questo modo d’interpretare la vita che dobbiamo difendere. Non dobbiamo cedere alla paura. La paura non allontana il pericolo. Dobbiamo continuare a fare le cose che abbiamo sempre fatto. Gli attacchi si combattono con la collaborazione internazionale, con l’educazione nelle scuole, senza dare per scontato che quello che va bene per noi lo é anche per chi non si sente né di qui né di la. Tema complicato, ma succede anche in altri ambienti (penso ai terroristi nazionalisti, ai ragazzi ingaggiati dalla Camorra o la Mafia). Quando i valori della societá non sono solidi nei giovani, o vengono incluso combattuti nell’ambito delle proprie famiglie, é facile che trovino dei miraggi. Continuiamo la lotta, ma non solo con le armi.