Frederick Forsyth. Intervista al leggendario scrittore di spy-story
Ci sono personaggi che attraversano epoche e generazioni senza perdere il loro potere evocativo. Frederick Forsyth è uno di quelli.
Lo scrittore britannico, classe 1938, ha pubblicato il suo primo romanzo oltre quarant’anni fa e oggi il suo nome fa ancora rima con avventura e spionaggio internazionale. Molti dei suoi titoli sono bestseller e alcuni sono diventati film famosi come Il giorno dello sciacallo, Dossier Odessa, I mastini della guerra o Quarto protocollo.
Quando Mondadori, che pubblica i suoi libri in Italia, mi ha proposto di incontrarlo insieme ad altri quattro blogger (Claudia Consoli di Critica Letteraria, Barbara Bottazzi de Gli Amanti dei Libri, Diego Manzetti de I-libri e Chiara Marzorati di Libreriamo), non ho esitato.
Forsyth era a Milano lo scorso weekend in occasione di BookCity per presentare il suo ultimo romanzo, La lista nera, una storia che vede il governo degli Stati Uniti alle prese con la minaccia del terrorismo islamico.
L’appuntamento è per le 17.00 di sabato 23 ottobre presso il lussuoso Hotel Principe di Savoia che ospita lo scrittore durante il suo soggiorno milanese. Forsyth è al bar con l’addetta stampa della sua casa editrice.
Dopo le presentazioni ci accomodiamo nell’angolo più appartato dell’affollata sala e sfoderiamo gli attrezzi del mestiere. In breve, la superficie del tavolo viene ricoperta di tablet, Iphone e Ipad. Lo scrittore è visibilmente incuriosito da questo armamentario tecnologico e ci domanda che cosa faremo esattamente con le cose che ci racconterà. Gli spieghiamo che pubblicheremo l’intervista sui nostri siti, niente carta, siamo blogger.
Perplesso ma molto disponibile, prima di cominciare il giro di domande ci chiede il tempo di chiamare il cameriere: «Sapete cosa succede alle cinque in Inghilterra, vero?».
«Oh yes, it’s tea time» rispondiamo quasi in coro. Ride e dice: «Certo, senza noi moriamo!»
Quando finalmente la tazza di tè fumante gli viene servita con i pasticcini di rito, Forsyth si rilassa e si lascia interrogare senza difficoltà.
Rompo il ghiaccio e parto con la mia prima domanda, senza immaginare che questo signore corpulento e simpatico è anche un gran conversatore. La chiacchierata si protrarrà per più di un’ora e Forsyth risponderà a ogni domanda in modo più che generoso. Quando si dice un gentleman d’altri tempi e senza capricci da primadonna.
Mr Forsyth, il fatto di aver trattato un tema delicato come quello del fanatismo islamico non la spaventa. È mai stato minacciato?
No, anzi, ciò che ho cercato di fare ne La lista nera è stato spiegare l’altro lato dell’Islam, quello che non ha nulla a che vedere con il fanatismo di chi assassina la gente. In vari punti del mio libro ho cercato di mettere in evidenza che esiste questo lato moderato. In particolare, c’è un personaggio, uno studioso del Corano che dice: “Questa non è la mia religione, l’Islam non permette di uccidere donne e bambini, l’hanno inventato”. Questa è una frase che ho sentito davvero pronunciare da un mussulmano. Quindi, il mio non è un libro contro l’Islam. Perché dovrebbero prendersela proprio con me dato che ci sono centinai di giornalisti e persino imam moderati che dalle moschee criticano il terrorismo e a volte hanno anche denunciato i fanatici più pericolosi?
Nel corso degli anni, attraversi i suoi libri, lei ha rappresentato il nemico in vari modi. Quale sarà il nemico di domani?
Il nemico attuale non l’abbiamo scelto noi, sono stati i jihadisti a sceglierci come avversario. Il ragionamento che sta dietro alle loro azioni a noi è ignoto e non sappiamo a cosa condurrà in futuro. Quello che è certo è che in questo momento, per il solo fatto di non essere mussulmani e jihadisti, ci troviamo nel mezzo di una sorta di guerra fredda non dichiarata e che non abbiamo voluto, contro un nemico che non è uno stato, ma persone che uccidono in nome di Allah. Credo che questa situazione durerà ancora qualche anno e non so se cambierà e eventualmente come cambierà.
Come si mette in relazione la fiction con la realtà nei suoi romanzi? La fiction può aiutare a comprendere la realtà?
Ottima domanda perché questa relazione cambia da un romanzo all’altro. In genere parto da una di queste due domande: “Sarebbe possibile che…” oppure “Che cosa accadrebbe se…?”. Dalla prima domanda, per esempio è nato Il giorno dello sciacallo. La questione era: sarebbe possibile uccidere il presidente francese? Ecco, comincio da una domanda sulla realtà e se c’è una risposta possibile allora ho una storia. La storia nel libro rappresenta il 40-50% del racconto. Parliamo della Lista nera: non è mai esistito un colonnello Kit Carson, ma sono reali i droni e al Qaeda, non esiste uno studioso del Corano al Cairo ma è vero che gli Usa ascoltano attraverso la NSA, la National Security Agency, le telefonate di molta gente. Quello che non c’è nei miei romanzi è la totale fantasia, l’impossibile.
Ho letto che per scrivere i suoi romanzi – cosa che poi fa abbastanza velocemente – approfondisce la ricerca fino a i vivere alcune delle situazioni che vengono descritte nel libro. Che tipo di indagini ha fatto per La lista nera?
Ammetto che io non ho molta immaginazione perciò ho bisogno di parlare con qualcuno che sia davvero esperto dei vari temi che tocco, non so, i droni, internet lo spionaggio etc…. Quando creo una storia preparo una lista piuttosto lunga delle informazioni di cui ho bisogno e mi metto in contatto con le persone che mi possono aiutare; ho molti contatti nel mondo un po’ torbido delle “operazioni speciali” che possono fornirmi il nome del massimo esperto di ogni settore. In genere queste persone accettano di parlare con me a patto di mantenere segreta la fonte. Il non rivelare le fonti è una delle poche norme ancora sacre della bistrattata professione del giornalista.
I luoghi di cui parlo devo averli visti con i miei occhi, è diventata una questione di orgoglio personale. Se scrivo di un bar che si chiama “da Mario” e che si trova a Milano vicino a piazza del Duomo e indico il percorso per arrivarci, voglio che il bar si trovi lì veramente. Un residente che legga il libro riconoscerà il bar e si convincerà che anche le altre cose di cui parlo sono corrette. Per La lista nera sono stato negli Usa, a Whashington, nella Virginia del Nord e anche tre giorni a Mogadiscio per sentire “l’odore” dei luoghi. Tutto ciò che scrivo di quella città è assolutamente vero.
In genere non ricevo molti commenti di lettori che correggono quello che ho scritto. Certo, qualcuno arriva, forse uno o due per libro, ma non molti. In quel caso rispondo sempre chiedendo scusa.
Visto che ha ambientato alcuni dei suoi libri in luoghi piuttosto esotici, immagino che possa esserle capitata in passato qualche avventura particolare…
Non con quest’ultimo libro, ma con Cobra, che trattava il tema del traffico di droga, ho vissuto un’esperienza molto particolare. A Bogotà, in Colombia, ho scoperto che una delle destinazioni principali della cocaina è l’Europa, ma che la droga non arriva direttamente dal Sud America. Prima passa per l’Africa occidentale, in particolare dalla piccola repubblica della Guinea Bissau. Da laggiù, attraverso il Sahara, viene trasportata fino alle coste dell’Africa del nord da dove poi raggiunge il sud Italia. Per documentarmi ho voluto visitare questo piccolo stato africano che, essendo stato colonia portoghese, è raggiungibile solo con voli che partono da Lisbona.
Il giorno della mia partenza avvisai il vice-console britannico e viaggiai tutto il giorno per giungere a Bissau. Dato che ero in volo, non sapevo che alle otto e mezza del mattino c’era stato un colpo di stato e che qualcuno aveva fatto saltare in aria il comandante dell’esercito. Al mio atterraggio, alle due di notte, il vice-console mi portò rapidamente in albergo. In auto gli domandai il motivo di tanta fretta e per tutta risposta mi disse di guardare le luci nello specchietto retrovisore: quei bagliori provenivano dall’esercito che entrava in città per vendicare l’uccisione del capo.
Quella notte, in hotel, non riuscivo a prendere sonno e alle quattro, mentre stavo leggendo un libro, sentii una forte esplosione. La mattina seguente mi dissero che si era trattato di una granata lanciata per vendicare l’attentato. Il governo chiuse confini ed aeroporti. Non potevo rientrare e anche le comunicazioni telefoniche erano interrotte. Internet però funzionava così riuscii a parlare con mia moglie per rassicurarla. Poco dopo, tuttavia, lo schermo del computer si oscurò e cadde la connessione.
Scoprii solo più tardi che era stata la CIA a interrompere la comunicazione, allibita dal fatto che mi trovassi lì durante il colpo di stato, proprio come già era successo nella repubblica della Guinea Equatoriale!
Com’è cambiato nel tempo il modo di scrivere spy-story e in particolare come è mutato il suo modo di scrivere?
Da Il giorno dello sciacallo ad oggi sono passati più di trent’anni ma non credo che ci siano stati molti cambiamenti né nell’uso dell’inglese e tantomeno nel mio modo di scrivere. Continuo a raccontare le mie storie come se fossi un corrispondente di un giornale, uso frasi brevi, senza parole troppo complicate ed evito i riferimenti ad argomenti accademici o scientifici eccessivamente complessi.
Quale tra i tanti libri che ha scritto è il suo preferito o quello a cui tiene particolarmente?
Ho un debito di gratitudine nei confronti de Il giorno dello sciacallo, libro che mi ha trasformato dal giornalista disoccupato che ero in una persona senza problemi economici. In termini di soddisfazione, tuttavia, credo che il mio romanzo preferito sia Il pugno di Dio. Questo libro parlava della guerra in Iraq, una guerra che per la prima volta tutti abbiamo potuto vedere in diretta in Tv. Era tutto troppo perfetto. Mi sono reso conto che c’era qualcosa che non era stato detto, c’era qualcosa che non tornava. Come facevano gli americani a sapere dov’erano le armi di Saddam Hussein? Giunsi alla conclusione che ci fosse una spia infiltrata tra gli uomini di Saddam. Cominciai a investigare e i risultati delle mie indagini, in seguito, vennero confermati da documentari e reportage giornalistici. Fu davvero una grande soddisfazione.
Sono stati realizzati diversi film basati sui suoi romanzi. Lei ha partecipato in prima persona alla realizzazione? E come crede che siano stati resi i suoi libri?
La persona chiave nella realizzazione di un film è di certo il regista, è lui che dà l’impronta al film, non il produttore, né gli attori. Il giorno dello sciacallo fu diretto da Fred Zinnemann uno dei migliori registi di sempre. Mentre lui girava tra la Francia e il Regno Unito, io stavo effettuando le ricerche per il mio terzo libro in Africa e non volevo interferire. Fu lui a chiamarmi e a chiedermi di raggiungerlo nel suo ufficio. Lì mi mostrò sei foto di giovani con i capelli biondi, chiedendomi quale di loro a mio parere dovesse interpretare il ruolo dello Sciacallo. Ne scelsi uno, Edward Fox, che era proprio l’attore che avevano ingaggiato. Gli altri erano dei modelli. Anche per gli altri film ho conosciuto i registi ma non ho mai voluto interferire. Sono andato a vedere la prima come tutti. Il mio preferito, comunque, resta Il giorno dello sciacallo.
I diritti del mio ultimo libro sono già stati venduti a Hollywood e presto si inizierà a girare il film. Anche in questo caso non ho intenzione di interferire perché so che i registi non vogliono gli scrittori sul set, dal momento che questi si lamentano sempre e non sono mai soddisfatti.
Nel romanzo La lista nera la tecnologia ha un ruolo importante. Secondo lei quanto può essere buona o cattiva?
Sta agli esseri umani decidere se usare la tecnologia per fare il bene o il male. Di certo ha fatto passi da gigante, basti pensare che oggi si possono riattaccare arti umani, cosa che mi appare quasi magica, oppure si possono salvare persone grazie alla possibilità di comunicare ovunque, anche in mezzo al mare e poi è possibile intercettare conversazioni di terroristi e sventare attentati. Solo in UK ci sono 250 terroristi incarcerati grazie alle intercettazioni.
Lei però non è molto amico del mondo digitale…
Non è che siamo nemici è che probabilmente sono troppo vecchio per capire ciò che ha a che fare con questo mondo. Potrei avere un computer ma non ne sento il bisogno. Scrivo ancora sulla mia macchina da scrivere con due dita – non conosco un giornalista capace di scrivere con dieci, solo le segretarie sanno farlo.
La mia unica concessione all’alta tecnologia è un Ipad su cui ci sono una cinquantina di app ma ne uso solo… due. Mando email e cerco informazioni in Google. So che i giornalisti più giovani ridono di me, allora io dico loro: “Provate ad hackerare la mia macchina da scrivere se vi riesce” così smettono di ridere. Credo di essere l’unica persona del pianeta a non essere rintracciabile perché non uso il cellulare.
Visto che le abbiamo chiesto qual e il libro a cui è più affezionato, vorrei sapere se c’è anche un personaggio a cui si sente più vicino.
Credo Mike Martin, il protagonista de Il pugno di Dio, un ufficiale che parlava anche arabo e che nell’Afgano ho fatto riapparire, facendolo uscire dal suo pensionamento per farlo infiltrare in Al Quaeda. Va detto che molte delle donne che ho ucciso nei miei libri mi avevano fatto innamorare.
Quando ha voglia di leggere una spy-story di qualcun altro cosa legge?
In genere non leggo fiction ma biografie, storia o articoli di attualità. Quando però ho qualche lungo viaggio da fare, vado in libreria in aeroporto e compro qualcosa di leggero, un libro di Michael Connelly, David Baldacci o Lee Child; storie che posso cominciare al decollo ed aver terminato all’atterraggio.
C’è un autore italiano che apprezza?
C’è una serie sulla Tv inglese che seguo, quella di un ispettore… non ricordo il nome ma so che è di Venezia (in realtà si tratta della serie Le inchieste dell’Ispettore Zen, coproduzione Mediaset- Bbc tratta dai libri di Michael Dibdin, autore scomparso nel 2007 che per quattro anni ha vissuto in Italia, nda). Poi mi piace anche Camilleri.
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