Robert Harris: “Non posso immaginare un mondo senza scrittori”
Quando devi incontrare un autore che ha venduto più di dieci milioni di libri nel mondo, è considerato un maestro dei romanzi di spionaggio e viene spesso intervistato dai più noti media internazionali, non puoi evitare di aspettarti un interlocutore non troppo interessato a rispondere alle tue domande.
Invece, puntualissimo, Robert Harris, giornalista e scrittore inglese, noto per essere l’autore di bestseller come Fatherland, Enigma e Il ghostwriter (tutti Mondadori) si è presentato al nostro appuntamento con un sorriso gentile e si è messo a disposizione del mio registratore con grande simpatia e senza capricci da star.
Harris è stato in Italia lo scorso maggio per presentare il suo ultimo lavoro, L’ufficiale e la spia, un bel romanzo pubblicato da Mondadori, dedicato all’affare Dreyfus, noto scandalo che divise la Francia di fine ‘800.
Le oltre quattrocento pagine del libro, che Harris fa raccontare in prima persona a Georges Picquart, l’ufficiale che mise in dubbio la colpevolezza del capitano Alfred Dreyfus, sono un susseguirsi di colpi di scena che gli amanti del genere, divoreranno senza tregua.
Una storia avvincente per uno scrittore che ho apprezzato anche per le qualità umane, l’umiltà prima di tutto.
Come mai un libro dedicato all’affare Dreyfus, Mr. Harris?
È stato un caso. Anni fa avevo scritto un film con Roman Polanski e avevamo voglia di farne un altro insieme, così ci siamo incontrati a Parigi per discutere l’idea di un thriller che avevo in mente. Mentre ero nel suo ufficio, vidi che aveva vari libri dedicati all’affare Dreyfus e gli chiesi come mai. Mi spiegò che gli sarebbe piaciuto girare un film su quel caso e quando rientrai in Inghilterra mi chiamò per propormi di farlo insieme. Cominciai a studiare i documenti ma inizialmente mi parve una vicenda troppo lunga e complicata, finché non “incontrai” il personaggio di Picquart e mi resi conto che era una storia di spionaggio perfetta per un romanzo.
È stato un lavoro di ricerca complesso?
Abbastanza. La fase di documentazione è durata otto o nove mesi e poi ci sono voluti circa sei mesi per scrivere il romanzo. La maggior parte dei documenti, fortunatamente, è disponibile in Internet. Ci sono le carte dei processi e i giornali francesi dell’epoca e il governo francese ha messo online vari archivi un tempo segreti. Ho anche letto molto Proust e Zola per crearmi il background necessario.
Che cosa di Picquart ha attirato tanto la sua attenzione da farne un protagonista?
Picquart parlava sei lingue, leggeva Tolstoj e Dostoevskij, era una persona colta. Bello di aspetto, era affascinante ma non era il tipico militare, era un outsider, era un intellettuale nell’esercito. All’inizio avevo pensato di scrivere una storia su di lui, ma poi mi è venuto naturale farne la voce narrante. Credo che per un tipo di vicenda come questa il racconto in prima persona offra molte più opportunità.
Lo stile di L’ufficiale e la spia è molto cinematografico. L’ha scritto così perché già sapeva che sarebbe diventato un film o le viene naturale questo approccio alla narrazione?
No, non ho pensato al cinema, credo che il mio modo di scrivere sia di per sé “visivo”, per scene. Inoltre, credo che la storia stessa sia piuttosto cinematografica.
L’ufficiale e la spia è il suo nono romanzo. Tutti i suoi libri sono bestseller mondiali. Ce n’è uno a cui è più affezionato, il suo preferito?
È una domanda difficile, è come chiedere a un padre di scegliere tra i suoi bambini. Tuttavia, se devo dire un titolo, direi proprio L’ufficiale e la spia, perché è un romanzo che ha sorpreso anche me, diciamo che ha superato persino le mie aspettative.
Si ricorda qual è la cosa più bella che le hanno detto su i suoi romanzi?
Sì, credo che il complimento più emozionante lo ricevetti dopo la pubblicazione del mio primo romanzo (Fatherland, ndr). Una mattina aprii il The Guardian e vidi la foto del libro con un commento di Nelson Mandela che lo indicava come il suo thriller preferito e spiegava che il mio modo di affrontare la suspense era quello di un Alfred Hitchcok letterario. Credo che di più sia impossibile desiderare.
C’è stata qualche critica che l’ha infastidita?
Prima di tutto va detto che non mi piacciono le critiche, come a chiunque. Tuttavia, riconosco che possono essere utili e in genere non mi feriscono, né mi fanno arrabbiare, al contrario, il loro effetto è quello di motivarmi a dimostrare che con il libro successivo posso fare meglio. Se si è troppo sensibili e ci si lascia ferire dalle critiche si rischia di “perdersi”, ognuno invece deve seguire quello che ha dentro e andare per la propria strada. Quando si scrive si è molto vulnerabili, è importante armarsi contro le critiche.
Qual è il ruolo dello scrittore nella società odierna?
Credo che il ruolo sia quello di intrattenere, interessare e informare. I miei romanzi sono politici perché quello che mi interessa sono le persone quando entrano in contatto con il sistema, la società il potere. Io non posso immaginare un mondo senza scrittori. Credo che la letteratura sia la forma d’arte più importante, più della musica, più della pittura, perché diffonde idee e risveglia l’immaginazione. Noi possiamo vivere solo la nostra vita, ma grazie agli scrittori possiamo entrare in quella di altri e in altri periodi storici.
Quali sono le sue letture preferite?
Non leggo molti romanzi, preferisco la non-fiction e tra questa i miei favori vanno ai diari e ai libri epistolari. Mi piace il materiale originale, non filtrato dall’immaginazione di altri, così posso trovare da solo le cose fondamentali, quelle che davvero mi interessano. In particolar modo trovo interessanti i diari perché noi, in genere, sappiamo che cosa è accaduto dopo all’autore ma lui, mentre scriveva, no. Una qualità che li rende affascinanti.
Conosce o ha letto qualche scrittore italiano?
In passato ho letto Moravia e Tomasi di Lampedusa, ma oggi non saprei fare dei nomi. Il problema è che l’inglese ormai è una lingua dominante.