Il dilemma del lieto fine
Ci sono scrittori che aborriscono il lieto fine. I loro personaggi portano nel Dna i geni della tragedia e non ci sono speranze di redenzione o salvezza.
Per le coppie l’unico destino possibile sono le corna o l’abbandono, i malati se sono fortunati restano tali fino all’ultimo dei loro giorni, altrimenti passano direttamente a miglior vita; gli omicidi restano impuniti e le sciagure sono all’ordine del giorno.
Quando affronto queste opere, leultime20 pagine diventano un tormento. Sebbene il finale non mi sia noto tutto mi fa presagire che resterò con l’amaro in bocca e, dopo nottate passate a immaginare di salvare i miei eroi mi vedo costretta a prepararmi alla sconfitta. E questa, puntualmente, arriva. Insieme alla mia delusione, a volte condita con lacrime amare.
Ci sono schiere capolavori senza lieto fine e non posso che prendere atto della capacità dei loro autori di sviscerare le nefandezze dell’esistenza umana e trasmetterci emozioni ineguagliabili, ma qualche volta l’happy end non ci sarebbe stato male.
Lo ammetto: preferisco i finali felici, la commedia alla tragedia, il pianto di gioia a quello di dolore. Confessarlo qualche volta mi è costato giudizi taglienti. Siamo tutti così abituati alle notizie crudeli dei telegiornali che se raccontiamo una storia incredibilmente bella, anche quando è vera, veniamo bollati come inguaribili romantici, sognatori incapaci vedere la realtà. Perché è così difficile accettare che qualcuno possa essere felice, anche solo nell’esistenza virtuale di un romanzo? Persino Manzoni è riuscito a regalare un po’ di serenità ai suoi tormentati Promessi sposi e qualcuno dei suoi critici non ha saputo perdonarlo.
Meglio il pessimismo a oltranza, insomma? Pare che il lieto fine sia sempre stato un mezzo puerile per soddisfare il desiderio di ottimismo che pervade le masse assalite da pestilenze, dittature o crisi economiche a secondo del luogo e dell’epoca. E se fosse soltanto uno strumento per provare piacere? Emozionarsi non è poi così tanto male. Un bel finale ti lascia dormire sereno, ti fa svegliare più allegro, ti fa ricordare con più affetto gli amici che hai lasciato dentro alle pagine, ti fa venire voglia di raccontarlo a qualcuno. Il dolore ci chiude in noi stessi, la felicità si condivide. Cerco motivi di ottimismo in una vita che dissemina schegge di sofferenza ovunque.
A duecento anni dalla nascita di Charles Dickens onore al suo Canto di Natale. Se Scrooge è diventato buono anche gli scrittori contemporanei potrebbero redimere qualcuno dei loro malvagi personaggi. L’ottimismo s’impara come le tabelline. Con l’esercizio.