Festivaletteratura. Mantova, la cultura in piazza.
Mantova mi accoglie con i rintocchi del “campanón” del duomo e le biciclette che sfrecciano per i vicoli del centro. Mentre mi dirigo verso la biglietteria del Festivaletteratura colgo frammenti di conversazioni tra signore del posto che parlano il dialetto locale, una lingua a me familiare visto che mia madre è originaria di una paese poco distante. Sono molto lontana da casa, ma mi sento a casa. E mi aspetta un giorno e mezzo di immersione tra libri e scrittori. Che cosa potrei desiderare di più?
Sono le undici, la fila alle casse è già abbastanza densa, ma l’organizzazione è efficiente e in pochi minuti ritiro i pass per gli eventi prenotati, poi mi dirigo verso piazza Sordello dove è stata allestita la tenda che ospita gli incontri denominati “Tracce”. In attesa che cominci la prima conferenza scatto qualche fotografia e scambio chiacchiere allegre con le persone che vanno prendendo posto. Scopro che i visitatori del Festivaleltteratura sono un popolo eterogeneo. Ragazzi (ma soprattutto ragazze mi par di capire) poco più che ventenni, arrivati in treno da mezza Italia e che hanno scelto di dormire in campeggio e di affittare le bici per spostarsi in città. Poi signore mature e informatissime che, ticket alla mano, si dirigono da un evento all’altro con la massima sicurezza e se per caso qualche prenotazione non è stata fatta a tempo, sono disposte a mettersi un’ora prima nella fila dei senza biglietto pur di vedere gli scrittori in azione. A un altro genere di visitatore appartengono gli abitanti dei paesi vicini che ogni anno vengono a dare un’occhiata, assistono al primo incontro disponibile senza preoccuparsi troppo delle prenotazioni, se capita fanno qualche acquisto in libreria, e tornano a casa soddisfatti, con la sensazione di essere stati protagonisti di uno degli eventi culturali più rinomati dell’anno.
Alle 12.00 in punto salgono sul palco il libraio Romano Montroni, autore di I libri ti cambiano la vita, Cento scrittori raccontano cento capolavori (Longanesi), Patrizio Roversi scrittore e conduttore Tv e il giornalista Stefano Salis. Oggetto della divertente conversazione è proprio il libro di Montroni che ha raccolto le testimonianze di cento scrittori ai quali aveva domandato quale libro avesse cambiato loro la vita. Tra aneddoti e battute Montroni, storico libraio bolognese e formatore a sua volta di giovani librai, spiega al pubblico l’importanza della lettura e la necessità delle librerie di crearsi una forte identità, assortimenti ampi e personale capace di trasmettere curiosità e passione ai lettori. E sui libri che cambiano la vita conclude che non necessariamente si tratta di capolavori della letteratura. A volte, secondo la sua lunga esperienza, anche la pagina di un libro qualsiasi, per non dire mediocre, può influire sull’esistenza altrui.
Terminato l’incontro me ne vado pensando a quali sono stati i libri determinanti nella mia formazione e mentre ci rifletto mangio un panino comodamente seduta ai tavolini di un bar. La giornata si è fatta caldissima ma non c’è tempo per godersi il sole, sta per iniziare l’incontro successivo dedicato al “Giornalismo culturale dopo i giornali”. Relatore è Fabio Chiusi, giovane autore del blog Il Nichilista divenuto in pochi anni un punto di riferimento per il giornalismo socio-politico e culturale di casa nostra. Chiusi racconta a un pubblico, formato prevalentemente da aspiranti giornalisti, la sua storia personale di blogger notato dalla stampa e dispensa consigli per chi intende percorrere la difficile via del giornalismo culturale in rete. Originalità, indipendenza, critica alle idee e non alle persone e un modello imprenditoriale chiaro sono le regole da seguire per poter vivere con un proprio blog. E poi tanto, tanto, lavoro.
Le ore volano a Mantova e l’orologio dice che è venuto uno dei momenti più attesi della giornata: l’incontro con Toni Morrison, premio Nobel e scrittrice di strepitosa cultura. Le novecento sedie piazzate sotto il tendone di Piazza Castello sono tutte occupate e quando la scrittrice fa la sua comparsa l’applauso è di quelli destinati alle grandi personalità. La conferenza ha per titolo “Gli strumenti della scrittura” e nell’ora e mezza di incontro la scrittrice riscalda i cuori del pubblico con quel suo incedere lento e sofisticato che la contraddistingue nel parlare come nello scrivere.
La lezione che resta a chi ascolta è di quelle che non si scordano. Alla domanda “come sente il linguaggio quando scrive?” l’autrice risponde: “Molto lentamente e con cura, parola per parola. E deve avere il suono giusto, tutto deve sembrare naturale”.
Dopo aver raccontato che i suoi romanzi nascono tutti prima dell’alba perché è quella l’ora in cui ha più energie per scrivere, Morris emoziona spiegando come riesce a concepire il razzismo dei bianchi per poterlo narrare. E lo fa immaginando che i suoi figli debbano condividere la vita con i cavalli, splendidi animali, docili e lavoratori, ma pur sempre bestie. “Vorrei che mio figlio andasse a scuola con un cavallo o si sposasse con uno di loro?” si chiede Morris. “Ecco, così devono vederci i bianchi” conclude graffiando dolorosamente l’animo della platea.
Quando termina l’incontro con il premio Nobel si è fatta ora di cena. Prima di presentarsi all’ultima conferenza segnata nel mio calendario, vado a rifocillarmi in un ristorante del centro dove non posso evitare le specialità della casa: tortelli di zucca e salame di cioccolato. Un vero attentato alla linea, ma ne vale la pena.
È già buio da un pezzo quando, soddisfatta, mi metto in fila per ascoltare Marco Malvaldi (La carta più alta edito da Sellerio è il suo ultimo libro) e Piersandro Pallavicini, autori accomunati dall’essere entrambi professori di chimica e aver scritto romanzi i cui protagonisti sono gli anziani. Con Pallavicini, autore di Romanzo per Signora (Feltrinelli) protagonista de la rubrica 2 Voci per 1 Libro di questo mese, in passato ci siamo scambiati qualche tweet ed è un piacere, dopo aver conversato di persona, confermare l’opinione di “scrittore gentiluomo” ed estremamente social che mi ero fatta attraverso i suoi messaggi. Umiltà, simpatia e senso dell’umorismo lo fanno immediatamente apprezzare anche dal pubblico presente, che si intuisce sia stato attratto dal più famoso nome di Malvaldi. I due autori danno prova di essere in totale sintonia e con spontaneità e leggerezza raccontano ai presenti, spesso in modo esilarante, le loro fonti di ispirazione, le difficoltà incontrate, i progetti per il futuro. E mentre scopriamo che il 10 dicembre inizieranno le riprese per una fiction tratta dai libri di Malvaldi, Pallavicini rivela che a breve Feltrinelli Zoom farà uscire un suo racconto in formato rigorosamente elettronico.
I due scrittori, prova vivente che la cultura scientifica non esclude quella umanistica, salutano il pubblico fra gli applausi. Per loro è l’ora degli autografi. Per chi ha camminato tutto il giorno con lo zaino in spalla è il momento del riposo.
Sabato 8 settembre
Per questioni logistiche e personali la giornata di sabato mi vede tra il pubblico di un solo incontro, quello con Giorgio Fontana, caporedattore di Web Target, magazine dedicato al web marketing e autore di Per Legge superiore (Sellerio) il cui titolo è “Uno scrittore deve essere social?”. Scopo della conferenza è illustrare le possibilità dell’autore moderno di interagire con il mondo esterno, conoscere il suo pubblico e promuovere il proprio lavoro senza rinunciare all’inevitabile bisogno di solitudine, silenzio e tranquillità che richiede la scrittura creativa. A dimostrazione della sua capacità di essere social, Fontana presenta il suo blog personale, uno degli strumenti che ritiene essenziali per l’attività di autopromozione (nel quale sono disponibili le slide della sua presentazione mantovana).
È intorno al concetto di identità digitale che si concentra l’attenzione di Fontana, un’identità che va curata esattamente come quella fisica utilizzando tutti gli strumenti che la rete mette a disposizione. Dal blogging, ai social network, fino alle riviste digitali. Ma l’essere social è davvero un dovere per lo scrittore, si domanda Fontana? “No, non ci sono doveri per uno scrittore,” si risponde l’autore “se non quello di far bene il proprio lavoro: scrivere bei libri. Ma se proprio vuoi essere social, allora fallo bene”. Tutti d’accordo.
È l’ora dei saluti. Mantova mi lascia negli occhi le sue meravigliose piazze, il cantastorie all’angolo di via Cavour che con l’organetto raduna una piccola folla mentre recita Bocca di Rosa, i tavolini dei ristoranti pieni di turisti con in mano il programma del Festival. E mentre mi allontano costeggiando i laghi, sento un po’ d’invidia per chi resta e prometto a me stessa che il prossimo anno non perderò nemmeno un giorno.
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