Fenomenologia dei cattivi ascoltatori
Di recente mi è venuta a trovare una persona che non vedevo da tempo. La nostra conversazione (o forse dovrei dire il suo monologo) mi ha ispirato questa riflessione sull’incapacità di ascolto che mi pare affligga un gran numero di relazioni sociali.
Dopo i saluti di rito, ho domandato al mio interlocutore come gli andavano le cose. Per venti minuti ho ascoltato in silenzio le vicende personali di chi mi stava di fronte fino a quando una telefonata ha provvidenzialmente interrotto il suo racconto. Mentre riponeva il cellulare nella tasca della giacca, colto da un impeto di generosità, ha detto: “Tu, invece, tutto bene, vero?”. Dato che la domanda dava già per scontata la risposta non ho avuto il tempo di proferire parola perché il mio loquace ospite ne stava già pronunciando altre. Su se stesso, ovviamente. Quando finalmente sono riuscita a intervenire per spiegargli un fatto recente, si è intromesso nel mio racconto impedendomi di continuare: “Ah sì, anche a me è capitato. Pensa che…”. Frase a cui hanno fatto seguito altri dieci minuti di soliloquio. Quando se n’è andato, quaranta minuti più tardi, avevo detto sì e no tre parole.
Di pessimi ascoltatori è pieno il mondo, ma mai come ai nostri i tempi il fenomeno è diventato così vasto e, credo, dannoso.
Molti ritengono che ai fini di una reale e profonda comunicazione umana le nuove tecnologie siano diseducative, perché impediscono di stabilire relazioni intime basate sull’ascolto reciproco. Viviamo in un’epoca di interazioni costanti e immediate, di parole contratte per meglio essere whatsappate o twitterate, di socializzazioni effimere dove a contare è il numero di pseudo amici e non la loro qualità. È inevitabile che in un contesto di questo genere la comunicazione tra le persone si faccia più complessa. Anche negli incontri faccia a faccia, lo squillo del telefono o la vibrazione di un email possono ridurre a brandelli una conversazione che in altri tempi sarebbe stata interrotta al massimo da un bisogno fisiologico.
Il fatto di essere costantemente connessi con il mondo, di poter diffondere il proprio pensiero digitando poche parole su una tastiera, spesso fa perdere di vista quelle che dovrebbero essere le connessioni primarie, ovvero l’ascolto delle persone più vicine come i figli i familiari, gli amici. Quante volte noi madri ascoltiamo distrattamente i racconti dei nostri bambini mentre con un occhio guardiamo lo schermo dell’Iphone e con l’altro cerchiamo di leggere l’ultima email appena entrata nel computer? E quando ci sentiamo dire: “Mamma, ma mi ascolti?” cadiamo dalle nuvole e con grandi sensi di colpa domandiamo al pargolo di ricominciare da capo.
Ritengo un errore, tuttavia, attribuire alla tecnologia l’esclusiva responsabilità di questa dilagante incapacità di ascoltare. Il vero colpevole mi sembra sia identificabile in un egocentrismo che si esaspera attraverso gli strumenti tecnologici, ma non nasce a causa loro.
Ma fino a che punto il cattivo ascoltatore può creare problemi in famiglia, sul lavoro o nella vita sociale? Le “vittime” silenziose dell’egocentrismo altrui sanno quanto può essere frustrante non riuscire a fare breccia nella mente dei loro interlocutori, ma in genere, alla lunga, sviluppano anticorpi per non farsi ferire.
Ci sono situazioni, tuttavia, in cui lo scarso interesse per il pensiero altrui può avere effetti collaterali devastanti. I cattivi ascoltatori, infatti, sono in grado di annullare l’autostima di chi ha una personalità debole o in formazione. “Se non mi ascolta è perché non dico nulla di interessante” è uno dei pensieri ricorrenti di chi ha ripetutamente a che fare con un interlocutore indifferente e distratto.
Il non ascoltare può anche essere figlio di pregiudizi (c’è chi ancora non ascolta le donne, gli omosessuali o gli esponenti di un altro partito politico perché ritiene insulsi i loro pensieri), oppure di presunzione. Chi non sa ascoltare in genere è convinto di non aver bisogno di imparare. Quello che c’è da sapere crede di averlo già dentro di sé. È tipico il caso del medico che liquida il paziente senza approfondire i sintomi che gli vengono riferiti (spesso con tragiche conseguenze).
Il pessimo ascoltatore se fa una domanda è per pura obbedienza alle norme della buona educazione, ma di conoscere la risposta non gli importa, perché in realtà quello che desidera è parlare di sé, offrire il suo punto di vista che ritiene sempre il più interessante.
Senza pretese di rubare il mestiere agli psicologi, ma con il semplice supporto dell’esperienza, ritengo l’incapacità di ascoltare un vizio difficilmente curabile. Perché il pessimo ascoltatore in genere non sa di esserlo e se anche gli viene fatto notare da qualche coraggioso interlocutore, il messaggio entra ed esce con la velocità di un battito di ciglia. Ma se conoscete una terapia efficace fatemelo sapere. Avrei qualche “paziente” a cui applicarla.
Certamente sono parole sante quelle che lei sta dicendo. E vero che gli egocentristi sono sempre esistiti ma ora si sono moltiplicati.
Il guio è che in chi subisce, sopratuto se è di famiglia cioè costretto a subire quotidianamente ne sofre fino alla disistima di se stesso.
avrò sbagliato e schiacciato qualcosa ma al commento non ho mai risposto. ciao