“È questa la terra promessa?” di Eli Amir. Israele anni ’50 e la vita nei kibbutz
Gennaio/Febbraio 2016
La rubrica 2VociX1Libro, apre il 2016 con un testo dedicato all’emigrazione mediorientale in Israele nei primi anni cinquanta e in particolar modo all’esperienza dei kibbutz. Lo scrittore Eli Amir, originario di Baghdad e immigrato in Israele nel 1950, nel suo È questa la terra promessa (Giuntina – traduzione di Shulim Vogelmann) racconta la storia di Nuri, un adolescente i cui genitori, fuggiti dall’Iraq e costretti a vivere in un campo profughi israeliano, decidono di mandare in un kibbutz con la speranza di garantirgli un futuro migliore. Le differenze culturali tra la mentalità religiosa e tradizionale a cui il ragazzo era abituato in famiglia e le regole comunitarie del kibbutz, improntate all’ateismo e al bene della collettività, genereranno in lui e nei suoi giovani amici grandi conflitti interiori e sensi di colpa. Un libro che parla di storie lontane dalla nostra realtà, ma capace di farci immaginare le difficoltà dell’integrazione sociale che ancora oggi sperimentano tanti esseri umani del nostro tempo.
Patrizia&Giuditta 2VociX1Libro è una rubrica che nasce dall’incontro di due persone distanti per formazione ed esperienze di vita, ma unite da una grande passione per i libri e la letteratura. Due donne, Giuditta e io, che si sono conosciute leggendo l’una il blog dell’altra, due “sentire” spesso discordanti ma sempre rispettosi e aperti al confronto. Da questa complicità è nata, tra un tweet e l’altro, l’idea della rubrica. Un luogo in cui confrontarsi su un libro diverso ogni mese in modo divertente e scanzonato, senza il rigore di una recensione, ma con l’attenzione ai dettagli. Una sorta di gioco (liberamente tratto dalle famose interviste della trasmissione “Le Iene”) che vi permetterà di conoscere nuovi romanzi e sorridere un po’.
È questa la terra promessa
Eli Amir
Giuntina
Patrizia twitter: @patrizialadaga | Giuditta twitter: @tempoxme_libri www.libri.tempoxme.it |
1. Dai un voto alla copertina e spiegalo | |
Voto: 81/2. Una copertina che, come il libro, parla di serenità da conquistare, di una promessa di felicità rappresentata da un campo costellato di piantine di tarassaco in piena infiorescenza. In attesa dei fiori che verranno… | Voto: Una copertina poetica e suggestiva, che rende simbolicamente attraverso i soffioni, “occhio di Dio”, la tematica della speranza, dell’attesa, del futuro. |
2. L’incipit è… |
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Un incipit descrittivo, che colloca geograficamente il lettore nella storia e gli anticipa, metaforicamente, la durezza della “scalata” del protagonista verso l’agognata integrazione sociale.
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La salita verso il monte Carmelo, con i suoi stacchi e le riprese, rende bene la fatica e la durezza delle prime pagine: il soggiorno del protagonista ad Achuza prima di poter usufruire di un soggiorno in un kibbutz:
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3. Due aggettivi per la trama |
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Interessante e istruttiva. |
Interessante e profonda. |
4. Due aggettivi per lo stile |
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Immediato e limpido. | Nitido e sobrio. Sempre precisa e ricca la traduzione di Shulim Vogelmann. |
5. La frase più bella |
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Un passaggio del libro descrive alla perfezione il conflitto interiore del protagonista. Lacerazioni dolorose e, purtroppo, più che mai attuali:
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Tanti gli spunti di riflessione, in particolare sul tema dell’identità, profondamente e dolorosamente vissuto dal protagonista del romanzo, che risultano di straziante e potente attualità. Un libro necessario per poter guardare con occhi più attenti al presente e alle sue tragedie. La necessità è spesso drammatica, ma la bellezza della frase è, a mio avviso, nella forza introspettiva:
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6. La frase più brutta |
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L’orrore della violenza in poche parole:
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Impervio e duro l’inizio del romanzo, e la frase più brutta, con la scena più crudele non può che venire dalle prime pagine:
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7. Il personaggio più riuscito |
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Senza dubbio Sonia, una delle dirigenti del kibbutz, guida coraggiosa e mediatrice infaticabile, sensibile e determinata, sempre vicina al protagonista e ai suoi bisogni. | Due donne. Sonia, bellissima veterana del kibbutz, piena di passione e di passionalità miste alla durezza e lucidità di chi crede ciecamente in un’idea, senza per questo perdere in umanità e dolcezza. Nili- pantalone e la sua importante, personale, non scontata rivoluzione, unita al forte desiderio di integrazione. |
8. Il personaggio meno azzeccato |
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Più che due personaggi, due gruppi di personaggi antagonisti, con cultura e tradizioni inconciliabili: i “locali” da un lato e gli abitanti della ma ‘abacà (i campi destinati agli emigrati ebrei mediorientali) dall’altro. In entrambi casi il pregiudizio e l’intolleranza hanno trasformato gli esseri umani in comunità spregevoli e senza cuore. Eli Amir descrive però i campi profughi con maggior partecipazione e intensità, mentre dei “locali” lascia al lettore un’immagine poco nitida che stimola la curiosità di saperne di più. | I cosiddetti “locali”, i nativi del kibbutz. Sono trattati senza introspezione, una coralità che se serve al dettato ideologico, ne appiattisce la complessità, anche di quelle figure come Zvika e Niza che si stagliano dal gruppo, ma a cui Eli Amir, volutamente, mi pare non voglia concedere spessore. |
9 La fine è… |
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Malinconica, triste, ma “aperta”. | Nostalgica e pessimista, ma strettamente necessaria. |
10. A chi lo consiglieresti? |
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A chi ama i romanzi di formazione, la storia di Israele e soprattutto a chi abbia voglia di scoprire qualcosa di più su quell’azzardato esperimento sociale che furono i kibbutz. | A chi guarda alla storia come una maestra di vita, perché attraverso la figura di Nuri e dei suoi compagni iracheni in Israele, possiamo scoprire i sentimenti, i bisogni, i sogni e le sensazioni di chi emigra in ogni tempo e in ogni dove. |