Artivismo sociale. Tra arte, cultura, protesta e buoni sentimenti
Lo chiamano artivismo (o attivismo creativo), un incrocio fra arte e attivismo che sta a indicare tutte quelle azioni non violente (ma non proprio tutte legali) che gruppi più o meno strutturati e in genere anonimi, compiono per criticare e tentare di cambiare la società in cui vivono.
Dai writer agli artisti di strada fino agli haker informatici (il cosiddetto attivismo tecnologico o hacktivismo), l’artivismo negli ultimi anni si è manifestato in forme diverse e con obiettivi più o meno politicizzati, finendo per indicare un insieme di movimenti eterogenei, anche in funzione del paese in cui hanno avuto origine.
La Spagna è sicuramente una delle nazioni in cui l’artivismo ha fatto più proseliti.
Proprio in Spagna, qualche giorno fa, il quotidiano catalano La Vanguardia ha pubblicato un interessante articolo dedicato a una delle ultime tendenze dell'”artivismo sociale” che consiste nello scrivere lettere o brevi messaggi anonimi e depositarli in qualche angolo della città affinché altri cittadini possano leggerli e godere di parole motivanti e solidali.
Sei una bella persona, un regalo per tutti. Non cambiare, resta sempre così come sei.
è una delle tanti frasi che si possono leggere sui foglietti arrotolati, fermati con uno spago e lasciati sopra al distributore dei biglietti della metro, su una panchina della stazione o sulle tastiere di un bancomat.
L’obiettivo non è altro che quello di ispirare buoni sentimenti, strappare un sorriso, dare un po’ di forza a chi, magari in quel momento, non sa dove trovarla. Scopi lodevoli, come quello della coppia che mesi fa si aggirava per le vie del centro di Milano distribuendo abbracci a chiunque ne avesse voglia.
Dopo aver conosciuto questa realtà non ho potuto fare a meno di chiedermi che cosa stia accadendo intorno a noi. Se qualcuno sente il bisogno di esprimere affetto e solidarietà a persone sconosciute e se altri sono lieti di ricevere parole motivanti da gente mai incontrata è perché qualcosa non funziona come dovrebbe.
Quanta gente non trova una parola di conforto perché immersa nella più cupa solitudine? Gente che ha un lavoro, amici, colleghi e spesso anche famiglia. Gente che nelle reti sociali ha centinaia o migliaia di followers, fan e via dicendo, ma che quando manca il wi-fi è drammaticamente sola. Dove sono i legami forti, quelli che emergono prepotenti quando ce n’è davvero bisogno?
Sarebbe ora di costruire una società che potesse fare a meno dell’artivismo, dei messaggi anonimi, degli abbracci regalati a casaccio.
Occorre educare le nuove generazioni alle relazioni umane basate sul rispetto e sulla solidarietà. Invece siamo ancora alle prese con atti di crudeltà spietata, torture, femminicidi, corruzioni e ruberie. Una società che marcisce e poi cerca espiazione nei piccoli gesti della gente generosa. L’artivismo è simpatico, ma è nella scuola che occorre investire e nelle politiche sociali.
Basterebbe che ciascuno riscoprisse il valore delle persone che ha accanto e non solo di quelle virtuali che “finge” di conoscere, ma che frequenta esclusivamente in rete; sarebbe un buon primo passo quello di spegnere i cellulari, Tv e tablet almeno a cena e ritornare a parlare con gli altri membri della famiglia (molto divertente ed istruttivo questo video dedicato a un macinapepe capace di disattivare tutte le connessioni).
Allo stesso modo sarebbe costruttivo se si ritrovasse il piacere di fare un complimento, di dire quel “bravo” o quel “ti voglio bene” che restano sempre strozzati in gola, confinati nei pensieri che per un distorto senso del pudore non si esprimono.
Ci vergogniamo dei buoni sentimenti e dei libri che ne parlano, sogniamo in segreto il lieto fine, la vittoria del bene sul male e forse anche l’amore, ma preferiamo ostentare fermezza o indifferenza, piuttosto che apparire deboli e spesso “fuori moda”.
Meglio allora consolarsi con un biglietto anonimo? Io credo di no.
(In copertina un’opera di Bansky, uno dei più noti writer del mondo, la cui identità è sconosciuta come quella del protagonista del romanzo di Arturo Pérez-Reverte Il cecchino paziente).
Patrizia: Te quiero mucho
Yo también! 🙂