Tutti pazzi per la sharing economy. In Internet la condivisione fa tendenza.

Tutti pazzi per la sharing economy. In Internet la condivisione fa tendenza.

Copertina share“Un dolore condiviso è un dolore dimezzato. Una gioia condivisa è una gioia raddoppiata”. Un vecchio detto popolare quanto mai efficace per spiegare un fenomeno che, complice il mondo digitale, si sta diffondendo rapidamente su scala planetaria: l’economia della condivisione detta anche consumo collaborativo o, all’inglese, sharing economy .

Tutti almeno una volta ne hanno sentito parlare, The Economist recentemente ha dedicato la copertina e un lungo reportage al tema e ovunque si moltiplicano le iniziative che hanno come scopo comune quello di tagliare i costi facendo insieme quello che prima si faceva in esclusività.

La sharing economy, con le sue molteplici varianti (peer to peer renting, baratto, scambio) appare come una chiara risposta alla crisi economica che ha mandato in frantumi le sicurezze di un’epoca, basate sul possesso esclusivo dei beni e sull’individualismo esasperato.

Con il consumo collaborativo i cittadini utilizzano prodotti e servizi senza doverli acquistare in modo esclusivo. Per molti versi un ritorno alle antiche pratiche di baratto ma reinventate grazie alla possibilità offerte dalla tecnologia.

51LmjY+2D1L._Rachel Botsman, autrice con Roo Rogers di What’s Mine Is Yours: The Rise Of Collaborative Consumption, già nel 2010 aveva previsto la portata di un fenomeno che in soli tre anni ha cambiato le abitudini di milioni di consumatori, impressionando gli osservatori dei fenomeni sociali.

In un mondo in cui si tende a non aprire la porta nemmeno al vicino di casa, è sorprendente come la Rete, grazie ai social network, abbia sviluppato dinamiche di fiducia tra utenti sconosciuti, che permettono alla sharing economy di prosperare ogni giorno di più.

Moda dovuta solo al difficile momento economico o fenomeno destinato a durare? Il tempo, come sempre, effettuerà una selezione naturale tra la miriade di proposte che stanno prendendo piede un po’ ovunque.

Per capire come è strutturato il mondo dell’economia collaborativa nel nostro paese sono andata a cercare i casi che funzionano in Italia e ho scoperto una realtà fatta di una grande varietà di formule, spesso molto diverse una dall’altra. Le ho raggruppate per tipo di finalità.

Condividere per usare

airbnbUno dei casi più conosciuti è di sicuro Airbnb il sito americano fondato nel 2008 (guarda caso in concomitanza con l’esplosione della crisi) che mette in contatto la domanda e l’offerta di alloggi in affitto (dalla alla stanza all’appartamento fino alla villa o alla barca) per un giorno, una settimana o un mese. L’obiettivo è non lasciare vuoti alloggi che potrebbero generare profitto e permettere a chi ha scarse risorse di godersi una vacanza a buon mercato.

La sharing economy ha toccato anche i trasporti. Le grandi città europee avevano cominciato anni fa con le biciclette ma oggi è il settore dell’auto quello in cui la condivisione ha trovato terreno fertile. L’elevato costo del carburante e delle vetture ha fatto sì che si siano moltiplicati i siti che offrono la possibilità di condividere un viaggio, occasionale o frequente, ripartendo le spese tra i viaggiatori o ricompensando il possessore dell’auto (ma anche della moto o del camper) con oggetti di suo interesse. Una sorta di autostop digitale con qualche garanzia in più. Tra i siti più noti ci sono roadsharing.com, carpooling.it e youtrip.it.

Ancora in piena evoluzione è il car sharing che sta prendendo piede nella metropoli nostrane, intasate dal traffico e dove parcheggiare è l’incubo di ogni automobilista.

A Milano, dopo GuidaMI, il servizio pioniere nel settore, avviato nel 2010 dal Comune con un parco auto limitato e l’obbligo di parcheggiare in zone definite, è nata lo scorso agosto Car2Go, del gruppo tedesco Daimler, che ha messo a disposizione 450 auto Smart per tutti coloro che vogliono essere liberi di muoversi in città (compresa la zona C) e di parcheggiare dove fa più comodo. Come funziona?

Si scarica un’applicazione nel proprio smartphone, oppure si accede al sito Internet e ci si iscrive al servizio per un anno al costo di 19 euro. Poi si prenota l’auto e la si ritira nel posto più vicino alla propria posizione, spendendo poco meno di 15 euro all’ora o 59 al giorno, carburante incluso.

«È facilissimo» – mi conferma Gabriele, un utente che usa spesso il servizio. «Sullo smartphone ti viene indicato l’indirizzo in cui puoi trovare l’auto. Con la tessera magnetica  che ti viene consegnata ti avvicini al display collocato sulla vettura e sblocchi le porte. A quel punto sali e una voce ti dà il benvenuto. Parti e lasci l’auto dove più ti fa comodo».

Anche il consorzio Fiat-Eni-Trenitalia sta per entrare nel settore offrendo un parco macchine composto da 650 Fiat Cinquecento. Le condizioni del servizio non sono ancora note anche se si parla di tariffe molto concorrenziali e di una presenza che poco a poco si sposterà anche ad altre città italiane.

Abiti e accessori non potevano mancare nell’elenco degli oggetti da condividere. Il caso più eclatante è quello di Swap Club Italia che permette di crearsi una rete di amiche (swapper) con la stessa taglia e gusti e di organizzare “swap party” in cui scambiare gli indumenti che non si ha più voglia di indossare.

 Condividere per risparmiare e guadagnare

G21Di natura completamente diversa è il caso del social commerce, ovvero di quelle community nate con l’obiettivo di far risparmiare e possibilmente anche guadagnare i loro iscritti.

G21 è stata la prima in Italia a intuire la possibilità di riunire i consumatori attraverso una piattaforma capace di offrire i vantaggi di una spesa comune. Un po’ come i vecchi gruppi di acquisto, ma con l’efficienza del digitale.

Il meccanismo è semplice: ci si iscrive gratuitamente attraverso il portale, tra tutte le offerte di prodotti e servizi di largo consumo disponibili sul sito si acquistano e si utilizzano quelle di interesse e si invitano amici e conoscenti a entrare nella community e a fare lo stesso. Più persone condividono l’acquisto dello stesso prodotto più il suo costo si riduce fino, potenzialmente, ad azzerarsi. Il consumatore, infine, ottiene dei punti da convertire in denaro in base agli acquisti della propria rete.

luigi

Luigi Maisto, presidente G21

«Siamo nati il 3 marzo scorso e oggi abbiamo già oltre 70 mila persone iscritte al nostro social network – dice Luigi Maisto, presidente di G21 – Nemmeno Facebook aveva ottenuto un numero così alto di registrazioni nei primi mesi di vita».

Una variazione sul tema, ma con una connotazione politico-sociale, è il network Sixth Continent, che si propone l’ambizioso obiettivo di modificare l’economia mondiale attraverso l’unione dei consumatori iscritti, i quali hanno a disposizione prodotti e servizi di aziende considerate “virtuose”, ovvero non nocive per l’economia, secondo i parametri stabiliti dal sito.

 Condividere per sperimentare e aiutare.

I social network sono diventati luoghi di sperimentazione per antonomasia. Lo stesso Twitter, con il suo limite di 140 caratteri è una continua fonte di peripezie linguistiche. Basti pensare alla massiccia adesione a un hashtag come #scritturebrevi che raccoglie pensieri, poesie, citazioni di una enorme quantità di persone che creano una sorta di antologia di “twitteratura”.

Anche il settore legato al cibo e alla cucina è un’ottima palestra di condivisione e sperimentazione. Il social eating e il  food sharing si fanno strada a colpi di corsi da frequentare e cene da organizzare a casa propria con i frequentatori del social di turno, per sfoggiare quello che si è imparato (Gnammo) o per dare una mano ai forzati del pasto fuori casa, lavoratori, studenti e turisti, che cercano cibo e compagnia a costi contenuti (Peoplecooks).

ifoodshareHa una impostazione marcatamente solidale Ifoodshare.org, la comunità che, dopo averci informato che ogni anno in Italia finiscono nell’immondizia oltre 12 milioni di euro di cibo, propone a utenti privati, rivenditori e produttori di offrire gratuitamente i prodotti alimentari in eccedenza e invita gli iscritti ad ampliare le iniziative di solidarietà coinvolgendo altre persone.

Una cosa è certa: la crisi economica e la tecnologia digitale stanno cambiando il modo di interagire delle persone. Ma le persone possono cambiare? Durerà la necessità di condividere o, passata la tormenta (se e quando passerà), tornerà a prevalere il desiderio di possesso in esclusività?

La storia insegna che le lezioni del passato si imparano con difficoltà. Ma forse questa è un’eccezione.

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