La donna che m’insegnò il respiro

La donna che m’insegnò il respiro

Da diversi anni seguo con interesse la narrativa dedicata alla condizione femminile nei paesi di religione musulmana così, quando ho scoperto in libreria “La donna che m’insegnò il respiro” dell’esordiente Ayad Akhtar (Mondadori), non mi sono lasciata scappare l’opportunità di acquistarlo.

A differenza di altri romanzi le cui vicende si svolgono in paesi orientali, “La donna che m’insegnò il respiro” è una storia ambientata negli Stati Uniti, terra natale dell’autore nato a Milwakee nel 1970 da una famiglia di origini pachistane.

Hayat Shah, il giovane protagonista del romanzo, che come lo scrittore ha genitori pachistani, a metà degli anni ottanta è un dodicenne della provincia americana che alle prese con la scoperta della religione, del sesso e dell’amore. A condurlo passo a passo nel complesso percorso verso l’età adulta è Mina, un’amica della madre, ripudiata dal marito in Pakistan e ospitata in casa della famiglia Shah insieme al figlio di pochi anni.

Il rapporto tra Hayat e Mina è la scusa abilmente utilizzata dall’autore per mettere in luce le contraddizioni esistenti in molte famiglie di fede musulmana apparentemente integrate nel tessuto sociale americano, ma spesso combattute tra tradizioni secolari e valori occidentali.

Il giovane protagonista si trova a vivere una pluralità di stimoli spesso conflittuali tra loro che da un lato lo confondono e dall’altro gli permettono poco a poco di diventare un uomo.

Antonio Franchini, direttore editoriale della narrativa di Mondadori, in una videointervista dedicata a questo libro, pubblicata nell’ambito del progetto “nella stanza dell’editor” promosso da Alessio Jacona sul suo blog The Web Observer, illustra in modo chiaro come Ayad Akhtar abbia saputo costruire un romanzo di formazione in cui il lettore si trova ad accompagnare, a volte con un sorriso e altre con rabbia, le tappe della maturazione del ragazzo.

Ho trovato il libro divisibile in tre parti. La prima incuriosice, la seconda, di transizione, annoia un po’, mentre la terza appassiona e spesso commuove.

Nella prima parte facciamo conoscenza con i personaggi che ruotano intorno ad Hayat. Un padre medico e donnaiolo che pur essendo musulmano rifiuta gli estremismi della sua religione e vive secondo lo stile occidentale, una madre frustrata dai tradimenti del marito e combattuta tra il rispetto dei precetti dell’Islam e la crudeltà di questi nei confronti del sesso femminile. E poi c’è Mina, la vera protagonista femminile che Hayat chiama zia e di cui si innamorerà perdutamente, creandole non pochi problemi.

Nella seconda parte, quasi completamente dedicata al rapporto tra Hayat e Mina, (è lei la donna che gli insegnerà ad ascoltare il respiro ovvero il suo cuore) s’insiste molto sui versi del Corano e sulle storie del profeta. Il tono è un po’ didattico e per questo fa calare la tensione che però recupera nel finale quando tutti i nodi vengono al pettine.

Le pagine che ho trovato più dolorose e allo stesso tempo affascinanti sono quelle in cui l’antisemitismo di alcune famiglie islamiche emerge con la sua devastante intensità e riesce, almeno per un certo tempo, a plagiare la giovane mente del protagonista che farà molti errori di cui poi si dovrà pentire amaramente. Un percorso difficile e sofferto quello di Mina ed Hayat, un susseguirsi di eventi che non lascia mai indifferenti.

Una bella storia che ha tutti gli elementi per essere reale, ma che quando finisce si spera sia solo inventata.

Titolo: La Donna che m’insegnò il respiro
Autore: Ayad Akhtar
Pagine: 334
Prezzo: 18,00 €
Voto: 7

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