Il vecchio

Un passo alla volta, lento, come una goccia dalla grondaia, come una pagina tra le dita. Camminava così il vecchio pazzo del Boscone. Traballando sulle ginocchia rosse, due bastoni come stampelle, la giacca logora, il berretto di sghimbescio che non cadeva mai.
Dove andava non lo sapeva. Da dove veniva lo ricordava appena. Ma sorrideva.

Era l’ultimo giorno dell’anno 1999. Non c’era la nebbia e nemmeno la neve. Era un giorno di sole, esattamente come un secolo prima. L’inverno viveva soltanto nei prati e sugli alberi. Perfino il vento si era assopito.
Il vecchio pazzo raggiunse la spiaggia. Sul fiume una schiuma, nell’aria odore di fango.
Su quella sabbia cent’anni prima stava seduto un bambino con la sua fionda. Tirava sassi nell’acqua. E i pesci giocavano al girotondo.
E presto fu notte. «E’ morto, è morto» gridava la gente del suo paese. «Il fiume se l’è inghiottito». Ma lui dormiva nella capanna del pescatore e non sapeva nulla dei lumi accesi nel pioppeto. Lontano si udiva un eco disperato di voci senza risposta. Scivolò nel millenovecento senza paura, senza vergogna. Ma fu punito.

Il vecchio pazzo chiuse gli occhi di fronte al sole. Sollevò il mento appuntito e sputò. Poi rise forte, sempre più forte finché ebbe fiato.
L’aria si faceva più fredda, il cielo più cupo. Non aveva scarpe, né calze. Tremava un poco.
Alle spalle del vecchio si levarono voci. Un rumore sordo di ferraglia invadeva lo spazio. Canzoni di festa e cori da marinaio rimbalzavano sull’acqua sporca. Infine li vide. Erano otto, forse dieci. Rossi in viso e molto sudati. I motorini portati a mano, le mani nei guanti, i guanti di pelle, la pelle abbronzata, i capelli corti, rasati, invisibili. Lui no, i capelli li aveva eccome. Grigi e unti.

Cent’anni prima il nuovo secolo era giunto con un’alba nebbiosa. Un silenzio profondo avvolgeva la bassa. I brividi scuotevano il piccolo corpo addormentato. I rintocchi delle campane lontane lo riportarono alla coscienza. E finalmente fu sveglio. Tornò al paese correndo per riscaldarsi. Quando fu a casa entrò nella stanza del camino dove le donne, vestite di nero pregavano a mezza voce. Si voltarono tutte con gli occhi sbarrati. “E’ vivo”, gridarono. Entrarono gli uomini con le mani grandi da zappatori. E furono botte. Nessuna parola, soltanto dolore.

Il vecchio pazzo si alzò in piedi e cominciò a ballare. Qualcuno gliel’aveva insegnato molto prima che il tempo ammalasse i suoi sensi. Li vide mentre le note immaginarie di un valzer risuonavano nella sua mente. Lo stavano osservando e ridevano. Ghigni più che risate. Rise anche lui. E si mise a cantare, in dialetto, l’unica lingua che conosceva. Gli furono addosso in un istante. E furono botte. I colpi strappavano gli abiti e la pelle bruciava come legna sul fuoco. Nel cielo una scia di un aereo, sul fiume carcasse di oggetti gettati. Lo lasciarono a terra, pareva un pupazzo sdrucito. Più tardi nel buio dal paese si udirono suoni di festa e lampi di colore rigarono il  cielo. Il vecchio pazzo non li udì né li vide. Fu così che scivolò nel duemila: nessuna parola, soltanto dolore.

(Giugno 1995)

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